venerdì 26 settembre 2014

Una nuova avventura in BIAB, Kashmir Ambrata Amara.

Domenica abbiamo rinnovato il rito di brassare, questa volta abbiamo rivisitato la nostra prima dello scorso anno, uguale negli ingredienti e nei quantitativi, ma modificata per la temperatura di mash. Ricordo come fosse ora, tutte le sensazioni ed emozioni che lo scorso anno ci avevano tenuto compagnia nella produzione della nostra prima birra in BIAB, quante dubbi, paure ed incognite sul nostro mini impianto.
Questa volta replichiamo con il nostro impianto ormai collaudato, che conosciamo molto bene.
La modifica ha riguardato la temperatura di mash, abbiamo deciso di cuocere i nostri grani ad una temperatura più alta, rispetto all'originale. La decisione è maturata anche perchè la Raj, appena fatta, è venuta troppo secca e alcolica, e abbiamo portato la temperatura da 63°C a 68°C.
Dalla temperatura di mash, dipende la produzione di birre o più secche, con temperature che vanno da 55°C a 66°C dove si producono zuccheri più fermentabili come il maltosio, o invece più corpose con temperature che vanno da 67°C a 75°C con la produzione di zuccheri meno fermentabili come il destrosio.
Come sempre abbiamo iniziato a preparare il tutto il giorno prima, il fornellone, la pentola, la pompa, il termometro e versato l'acqua.


Abbiamo anche macinato i grani, questa volta utilizzando un trapano per velocizzare le operazioni, ma abbiamo avuto paura che girando troppo velocemente, scaldasse eccessivamente i chicchi, e provando ad abbassare  la velocità, tendeva a bloccarsi la rotazione, indubbiamente da migliorare, utilizzando magari un motore dedicato, ma per il quantitativo che facciamo, non è così importante.


Questa volta, visto la presenza di molti chicchi integri nella scorsa cotta, ho deciso di avvicinare i rulli del mulino portandoli ad una posizione intermedia tra la prima e la seconda tacca, e abbiamo notato che non c'è traccia di chicchi interi. Certo che questo comporterà un aumento delle farine, ma vedremo se l'estrazione sarà migliore.


La scorsa settimana, siamo stati  un pò distratti, dall'attenzione dedicata al luppolo autoctono, e la possibilità di inserirlo nella cotta. Prima però di utilizzarlo abbiamo fatto qualche prova comparativa, avevamo del Cascade aperto, e abbiamo fatto una tisana sia con il selvatico, che con il domestico.
Naturalmente la differenza tra uno fresco e l'altro essiccato, ci ha costretti ad usare un quantità inferiore del domestico rispetto al selvatico, l'essiccato ha un peso inferiore di circa 80% e quindi abbiamo fatto i due decotti, uno con 10 grammi di selvatico, e l'altro con 2 grammi di domestico. I parametri uguali sono: 100 ml di acqua e 5 grammi di zucchero per aumentare l'estrazione, entrambi fatti bollire per 10 minuti e lasciati in infusione per 10 minuti.
Non ci saremmo aspettati, un tale risultato. Prossimamente cercherò di scrivere un articolo sull'esperienza di questi giorni, dove vedrò di farvi un riassunto, dove specificherò anche le diverse piante trovare, con le caratteristiche diverse, soprattutto di dimensioni, e il problema principale, la raccolta. Essendo rampicanti, i coni più belli si trovano in zone alte, arrampicati in cima alle piante ospiti, impossibili da raggiungere senza un mezzo adeguato.


La concentrazione degli alfa acidi del Cascade lo conoscevamo da quanto riportato dalla confezione 7,7, e ci aspettavamo qualche gusto particolare, visto che è uno dei luppoli principi per aromatizzare le birre americane, soprattutto per il suo aroma agrumato. Ma invece, la differenza principale è stato l'amaro, dove il Cascade è risultato più amaro, ma non ci aspettavamo un aroma particolare dal selvatico, che invece ha rivelato una specie di aroma pepato, che ci ha stupiti. Per l'amaro abbiamo dovuto stimarlo, non avendolo fatto analizzare da un laboratorio, è abbiamo deciso di fissare la concentrazione degli alfa acidi intorno ai 3 - 4, non di più, e de probabile che con un tenore così basso, sarà poi difficile che rilasci tanto aroma nel mosto. Dalla foto potete vedere la differenza di colore, il Cascade in giallo ed invece il selvatico è di uno splendido color rubino. Decidiamo alla fine di utilizzare 10 grammi di fresco a 30 minuti, sia per cercare di estrarre un pò di amaro, ma anche per carpire qualche sentore pepato. 
Come consuetudine la ricetta:

Kashmir ALL Grain BIAB
Minuti ammostamento :50
Litri in pentola :40
Litri in fermentatore :26
Efficienza :75 %
OG :1062
ABV :6.1 %
Plato :15.2
IBU :69.3
BU/GU :1.12
EBC : 24

Malti e Fermentabili
Maris Otter 6000 gr 85 %
Crystal 150L 700 gr 10 %
Barley, Flaked 400 gr 6 %
Totale 7100 gr

Luppoli
Target 35 gr 90 min
Pilgrim 9 gr 60 min
Cascade 25 gr 60 min
Goldings, East Kent 25 gr 30 min
Luppolo Autoctono 10 gr 30 min
Goldings, East Kent 25 gr 15 min
Fuggle 28 gr 10 min
Saaz 14 gr 5 min

Lieviti
SafAle English AleS-04 23 gr

Profilo Mash
Beta-amilasi 68 °C 35 min
Alpha-amilasi 72 °C 15 min

Prima di iniziare verifichiamo, visto che un pò che non controlliamo, il pH dell'acqua, 7,40, e come al solito versiamo il succo di un limone nella pentola e accediamo. Aspettiamo qualche minuto che si amalgami e rimisuriamo il pH che si attesta intorno a 6,80. Le temperature ambientali, sono ancora alte e non ci mettiamo molto ad arrivare a 68°C, versiamo le trebbie e diamo una bella mescolata. La temperatura scende fino a 64°C ma in pochi minuti ritorniamo a 68°C.
Sarà la doppia griglia posizionata come spargifiamma o il fatto che stacchiamo la pompa a fuoco spento, ma la temperatura rimane quasi costante per tutti i 35 minuti, abbiamo accedo una sola volta, un paio di minuti, quando la temperatura cominciava ad avvicinarsi ai 67°C. Ogni 5 minuti mescoliamo. L'acidità si è stabilizzato a pH 5,86, leggermente più alto del solito, ma con temperature più alte di mash gli enzimi di alfa amilasi, rispetto ai loro cugini di beta amilasi che prediligono pH più bassi fino a 5,5 - 5,6,  lavorano bene anche ad un pH più alto. Decidiamo di non aggiungere altro.


Il tempo passa veloce e dopo i 35 minuti a 68°C, passiamo a 72°C per altri 15 minuti. Quindi passiamo alla prova della tintura dello iodio, un momento sempre delicato.


Quel suo bel colore rossiccio marroncino ci indica che è tutto a posto,  possiamo tirare su la sacca. Quest'anno, non portiamo più la temperatura a 78°C, per il mash out, inutile visto che non facciamo alcun lavaggio delle trebbie, ma andiamo direttamente in bollitura con la sacca che sgocciola sopra alla pentola.


A causa della macinatura più fine, il mosto sembra più torbido, non ci preoccupiamo più di tanto, alla fine un pò rimarrà sul fondo della pentola, un pò insieme ai lieviti esausti sul fondo del fermentatore.


Intanto mentre Andrea strizza, prima sulla pentola e poi nella bacinella forata, io preparo le gittate di luppoli, compresa quella di autoctono fresco. In questa fase è importante, finito il recupero del mosto all'interno delle trebbie, misurare la densità e il litraggio preboil, che posso servire per eventuali correzioni e modifiche la ricetta originale.


Anche questa volta siamo riusciti a recuperare tantissimo mosto e alla fine avevamo 38 litri da 40 litri iniziali, e due litri lasciati all'interno di 7 chili di grani, sono davvero pochi. La densità è alta anche questa volta, più alta di quando ci aspettassimo, 1046, sicuramente la macinazione più fine a contribuito, e alla fine influirà anche sull'efficienza.


Come già l'altra volta stiamo usando i luppoli vicini alla scadenza o scaduti da poco e quindi certe scelte, soprattutto il Cascade per l'amaro, risulteranno un pò strane o fuori logica, ma dobbiamo levarci un pò di materiale prima di procedere con il nuovo ordine dei luppoli della nuova stagione di raccolta.


Qui le varie gittate in ordine di inserimento.


Da questa cotta, abbiamo eliminato le calze, ed utilizziamo una sacca grande, che avevo sempre preso da customBIAB, per metterci dentro i luppoli.


Assomiglia molto alla sacca che utilizziamo per i grani, ma questa semplicemente non ha la fettuccina per tirarla su. E' molto più comodo, sia all'inizio si prendono i bicchieri e si versano i luppoli, senza più il passaggio di metterli dentro alla calza e legarli, e alla fine basta tirare su, dare una bella strizzata, vuotare il sacco e darci un lavata con acqua e candeggina.
Così rispettando la tabella, iniziamo con il Target e via via tutti gli altri, agli intervalli prestabiliti. Gettando il luppolo così libero, abbiamo avuto la possibilità di notare  la presenza di semi. Chissà quante altre volte sarà accaduto, ma nelle calze è impossibile vederlo, questa volta è stato il Cascade, ha rilasciare una marea di semi.


Vi garantisco che il luppolo autoctono, non lo avevamo ancora inserito. Su internet, nei forum, e tra noi appassionati, la presenza di semi all'interno dei coni evidenzia l'avvenuta fecondazione da parte del polline maschio, e quindi una attenuazione della quantità di polline e quindi della qualità della luppolina. Spesso capita che parlando di luppolo autoctono o selvatico, sia disprezzato perchè sia quasi inevitabile che rimanga fecondato, e che alla fine produca meno luppolina e di qualità scadente. Il fatto che in un luppolo pregiato, acquistato, denota che poi non è così difficile che anche luppoli selezionati, coltivati con passione, molte attenzioni e cure, finisca poi per essere impollinato. Secondo me è impossibile che il luppolo, anche se rigorosamente protetto e controllato, non rimanga fecondato e sfugga alle leggi della natura. Il luppolo è una pianta infestate, cresce ovunque, anche se predilige zone umide vicino a fiumi e terreni drenanti, appunto come i letti sabbiosi e freschi, in poche parole piedi al fresco e testa al caldo, e de quindi impossibile che nella vicinanze di qualche impianto non siano presenti piante maschili o addirittura alcune piante in coltivazioni risultino poi maschi. Anche se scientificamente non è ritenuto possibile, perchè sono due piante distinte, ho potuto vedere con i miei occhi, piante che sembravano maschi e poi invece hanno prodotto coni. In Germania, per la coltivazione del Hallertau, garantiscono che estirpano tutte le piante maschili nel giro di decine di chilometri dai campi. Ma alla fine, non mi scandalizzerei più di tanto, se nei nostri amati luppoli ci sia la presenza di qualche seme, e che sarà mai! Bisogna secondo me essere più fatalisti, non stiamo creando una centrale nucleare o una medicina vitale, semplicemente stiamo facendo birra, e se non sarà proprio aromatica come pensavamo, pazienza, state pur certi che non andrà certo buttata!
Ritorniamo alla cotta. A 30 minuti il momento clou, del pomeriggio italiano, la gittata del luppolo selvatico.


La differenza principale che salta all'occhio e quel bel verde intenso che ci risulta negato dal nostro luppolo domestico essiccato, anche l'occhio vuole la sua parte. Non abbiamo sentito alcun profumo particolare, al momento dell'inserimento, neanche il tanto odiato erbaceo che qualcuno fomenta dalle righe di blog e forum.
Siano in dirittura di arrivo, i 90 minuti sono terminati e si passa al raffreddamento. Ricordatevi,  per chi usa la serpentina, di metterla qualche minuto durante la fase di bollitura per sterilizzarla.


In parallelo, durante questa fase si prepara il lievito, ci vuole una trentina di minuti prima di reidratarsi, ma vi giuro che non ho mai usato il cronometro. Prima di inserire il tubo della serpentina nel rubinetto per il raffreddamento, versiamo un pò d'acqua in un pentolino, portiamo in ebollizione, per sterilizzare l'acqua, si raffredda fino a 25°C e poi la versiamo nei bicchieri, e poi mettiamo a pioggia il lievito, mescolando. Lasciamo riposare una quindicina di minuti, ricordatevi di coprire i bicchieri con una pellicola trasparente, e aggiungiamo un grammo di zucchero, mescolando bene. Utilizziamo sempre un pò più di lievito del necessario, over pitching, riteniamo che così ci siamo più cellule di lievito e inizino prima la fermentazione, lavorando più zuccheri contemporaneamente e finisca più velocemente il processo. Potete utilizzare questo soft on line http://www.mrmalty.com/calc/calc.html, dove si può avere con buona approssimazione della quantità necessarie, a secondo dei parametri fondamentali, stile, densità e litri.


Questa volta abbiamo apportato una modifica al sistema di raffreddamento, visto che ultimamente ci mettiamo troppo tempo per raffreddare il mosto. Così abbiamo congelato alcune bottigliette di acqua e poi inserite nel mosto. In pratica abbiamo iniziato la normale fase di raffreddamento, con la sola serpentina che riesce bene a raggiunge velocemente una temperatura di 50°C, lo zoccolo duro rimane abbassare ulteriormente velocemente la temperatura. E qui abbiamo inserito le bottigliette, accelerando il raffreddamento.

 
Naturalmente le bottigliette sono state sanificate prima di essere inserite nel mosto. La discesa è stata piuttosto rapida, visto che dove prima, con il normale metodo della serpentina ci mettevamo anche un'ora e mezza, questa volta abbiamo portato la temperatura a 20°C in mezz'ora. L'inserimento di altre bottiglie potrebbe ulteriormente diminuire il tempo.
Siamo ormai alla fine e quasi pronti ad aprire il rubinetto e cominciare a versare il mosto nel fermentatore precedentemente sanificato, manca solo un bel mulinello per cercare di concentrare le farine al centro e poi farle precipitare sul fondo e attendere qualche minuto che si fermi la rotazione.
Adesso ci siamo, e con una apertura parziale e un getto sottile, per non smuovere e trascinare il fondo, cominciamo a versare nel fermentatore.


C'è un gran profumo, il colore è splendido, e il mosto risulta limpido, come sempre. Prelevo un pò di mosto per verificare la densità finale 1062, e cogliamo l'occasione per darci un'assaggiata. Diciamo subito che al profumo la fanno da padrone gli aromi caramellati del crystal, che riteniamo uno dei migliori malti, e poco avvertibile l'aroma del luppolo.
Al gusto è immediato il dolciastro dei malti, e favoloso il gusto caramellato che lascia in bocca, anche l'amaro è intenso e piacevole man mano che scende in gola. Sarà la suggestione, ma ci è sembrato di percepire un leggero pepato in retrogusto, non pensiamo che 10 grammi di luppolo fresco abbiano potuto rilasciare così tanto aroma, ma aspettiamo di assaporare questa splendida birra, tra qualche mese prima di dare un giudizio definitivo.


Ora il lievito è pronto e quando il livello nel fermentatore e arrivato a metà abbiamo versato il primo bicchiere. Preferiamo aggiungere il primo bicchiere di lievito mentre il mosto cade nel fermentatore, in un ambiente che si sta creando e dove il livello di ossigeno continua a crescere man mano che il mosto cade, l'altro lo versiamo alla fine. Ultimo passaggio è l'ossigenazione che facciamo inserendo una pietra porosa collegata ad un aeratore per acquario, per una decina di minuti.


Alla fine non ci resta che chiudere il coperchio e portare il fermentatore in cantina, nella cella climatica e aspettare che i lieviti facciamo il loro lavoro.
Non avendo più il fermentatore in casa, non abbiamo la possibilità di monitorare da vicino l'inizio della fermentazione e la prima fase tumultuosa, ma il giorno dopo tutto era partito e la fase tumultuosa era in piena attività portando la temperatura a 24°C.


La schiuma arrivava quasi al coperchio , attività in pieno svolgimento.
Mercoledì, la fase tumultuosa era già finita, e il gorgogliatore sonnecchiava borbottando lentamente. La temperatura è scesa a 22°C.


Sul fondo era già visibile uno strato di lieviti esausti, che hanno lavorato sodo nelle prime 48 h, ora inizia la fase di trasformazione degli zuccheri meno fermentabili.
Ad oggi pomeriggio, il liquido nel gorgogliatore era ancora in pressione e fuoriusciva ancora CO² denotando una continua produzione di anidrida carbonica.
Domani, dopo sei giorni, non ci rimane che passare alla fase due, il travaso, ma questa è un'altra storia.

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