lunedì 5 agosto 2019

Il Meglio Parte X - Intervista a Davide Bertinotti

Decima parte del Meglio del Signormalto. Abbiamo voluto inserire almeno un incontro nel meglio. Siamo stati indecisi fino all'ultimo su quale riproporre ma poi rispetto ad altri abbiamo preferito proporre quella di Davide.
Questo doveva essere un must per "l'inventore o quasi" della birra casalinga italiana, ed invece è passato inosservato. Pochi click e pochi commenti.
Non abbiamo mai capito perchè, anche rispetto ad altre interviste con persone meno conosciute.
Nella chiacchierata spaziamo a 360° gradi nel mondo della birra casalinga e artigianale.
Il post è del 2015 


Dopo le prime esperienze con Antonio De Feo, Fabio Stilo e Joseph Pulga, siamo tornati con questo nuovo appuntamento con “Una Chiacchierata con….”, questa volta abbiamo il piacere di avere tra noi un calibro da 90, Davide Bertinotti
Ho trovato difficoltà a capire quale parte intervistare, Homebrewer da data immemorabile,  docente di corsi di produzione e cultura birraria, diversi premi in concorsi, Membro del consiglio direttivo del Mo.Bi. Movimento Birrario Italiano, di cui sono socio, capite l’imbarazzo a scegliere chi intervistare. 
Con chi chiacchierare, il birraio parlando di birra nuda e cruda, forse la parte più interessante per noi, o lo scrittore, dispensatore di informazioni preziose, o la parte più pubblica Membro e consigliere del Mo.Bi.?
Ho riflettuto a lungo, e ho deciso, di diversificare un pò gli argomenti, così avrò possibilità di fare delle domande che non potrei fare ad altri. 
Mi scuseranno i lettori se la chiacchierata prenderà un direzione più professionale che artigianale.

Ciao Davide, benvenuto, iniziamo con qualche domanda di rito, scaldiamo l’ambiente.
Capisco che non è semplice ma cerca di presentati ai nostri lettori, facci un bignami della Tua storia birraria
D: non ricordo di avere bevuto la prima “birra”. Devo essere stato molto giovane e comunque non disdegnavo assaggi dalle casse di Splügen che mio nonno acquistava. Ho da subito però cercato di andare oltre la bionda con poco gusto. Ricordo visite presso un distributore della mia città alla ricerca di birre particolari o addirittura di fustini da 5 litri (qualcuno si trovava). Apprezzavo molto la Pelforth Brune, che compravo a casse con mio fratello e la Urbock 23 che trovavo presso un bar con gestione “illuminata”. Ma in generale si trovava poco, almeno dalle mie parti. La lampadina dell’homebrewing si è accesa in UK, dove al supermercato avevo visto in vendita i kit: non immaginavo si potesse fare la birra in casa. Erano i primi anni ’90 e dovetti abbandonare subito l’idea: come portare tutto quel materiale in valigia e in aereo?
Tutto prese forma nel luglio del 1998: scoprì su internet l’esistenza del newsgroup it.hobby.birra, creato da pochissimo e fui molto felice di venire a conoscenza di rivenditori in Italia di materie prime. A ottobre richiesi a un amico come regalo di nozze il primo kit. E da li nacque la mia attività produttiva. Passai subito all’E+G e ci lavorai per un paio d’anni, per poi fare il salto all’all grain. Fui parte da subito del primo gruppo di appassionati che orbitava attorno al newsgroup e che organizzava incontri frequenti, in genere in Piemonte. Baladin fu uno dei primi punti di ritrovo e Teo ci accolse subito bene, condividendo le sue esperienze produttive di microbirrificio aperto da poco. Il locale fu teatro, nel luglio 2000, del primo “contest” tra homebrewers con una decina di iscritti. A dicembre dello stesso anno il primo concorso vero e proprio con panel di esperti e assaggi alla cieca, tenuto presso il Birrificio Italiano a Lurago Marinone. Vinsi inaspettatamente con un barley wine da estratto, davanti a homebrewers oggettivamente più bravi di me (c’era a concorso anche Leonardo di Vincenzo che poi avrebbe fondato Birra del Borgo). Diedi una mano a organizzare i primi due concorsi e continuai poi a farlo per parecchi anni (14!). Dopo poco, Unionbirrai decise di aprirsi agli appassionati e venni cooptato assieme a Max Faraggi nel direttivo dell’associazione. Organizzai e tenni concorsi e corsi per homebrewing sino al 2007, anno in cui io e Max uscimmo da Unionbirrai perché ritenevano fosse giusto che le due anime (appassionati e birrifici commerciali) dovessero camminare ciascuno per la propria strada. Nel 2009 fondammo, assieme a Max, Kuaska, Schigi e altri l’associazione MoBI per dare vita a un centro di interessi e attività a sostegno di appassionati e consumatori. Dopo 4 anni ho lasciato la carica nel Direttivo MoBI, per il poco tempo a disposizione, anche se continuo a dare una mano nelle problematiche associative (sono tutt’ora Tesoriere).

Qual’è la tecnica che maggiormente utilizzi per produrre le Tue birre? 
D: all grain, ma non solo. Faccio ogni paio d’anni un barley wine da estratto che lascio in cantina a maturare diversi anni. 

Domanda di rito, anche se conosco già la risposta, visto che in questo blog si parla soprattutto di BIAB, cosa pensi della Tecnica Australiana?
D: concettualmente non mi piace, anche se onestamente non l’ho mai utilizzata. Ma credo di avere mente aperta e ho appena acquistato il sacco filtrante per testarla. Qualcuno ci ha segnalato che non viene nemmeno menzionata nel libro La Tua Birra Fatta in Casa e quindi ho deciso di fare delle prove per poterne scrivere con cognizione di causa nella prossima edizione del libro.

Quali sono i motivi per cui ritieni che con la tecnica BIAB sia deficitaria rispetto al metodo classico?
D: Credo che gli elementi fondamentali per la riuscita di una buona birra siano 3: materie prime (devono essere di buona qualità, fresche e ben conservate), lievito e fermentazione (è lui che fa la birra, in fondo!) e filtrazione realizzata con cura (per avere un mosto “pulito” in bollitura). Il BIAB pecca pesantemente su quest’ultimo aspetto.

Quali sono le maggiori differenze a livello qualitativo tra il metodo Classico delle tre pentole e il Brewing In A Bag con una pentola sola?
D: Certo il BIAB consente un risparmio notevole di tempo e attrezzatura, ma come ho detto sopra mi rende perplesso per la fase di filtrazione. Ho in progetto una doppia cotta con la stessa ricetta realizzata con i due metodi e farò un assaggio di confronto. In fondo, non è importante il colore del gatto, ma che acchiappi i topi, no?

Qual’è la birra che hai prodotto che Ti ha dato le maggiori soddisfazioni?
D: i barley wine mi danno sempre soddisfazioni, è molto interessante fare degli assaggi in “verticale” di una serie di birre simili prodotte ogni uno/due anni: si notano la curva di invecchiamento e le modifiche organolettiche che gli anni regalano alla birra. Poi ultimamente produco blond ale/golden ale e sono quelle che apprezzo di più. 

Regala una Tua ricetta ai nostri lettori.
D: una ricetta molto basilare, ma non per questo banale: una blond ale
18 litri, OG 1046, FG 1011, IBU 40
4 kg Maris Otter
mash in a 56°C
salire a 68°C per 40 min.
mashout 78°C 15 min.
15 g Galaxy 16% AA fiori 60 min.
10 g Galaxy 16% AA fiori 5 min.
Lievito Safale S04

Dopo il grandissimo successo del Best Sellers “La Tua Birra Fatta In Casa” insieme all’amico Max Faraggi, ho visto che avete pubblicato da poco un nuovo libro “Le Tue Birre fatte in Casa”, illustraci questo Vs nuovo progetto. 
D: è un progetto che avevo proposto all’editore un paio di anni or sono perché mancava, almeno in lingua italiana, una raccolta di ricette e nel contempo un testo che illustrasse gli stili birrari. E’ vero che in rete si trova di tutto, ma la comodità di avere in un unico volume qualcosa di oggettivamente testato da degustatori esperti è secondo me un valore aggiunto. Abbiamo quindi raccolto e catalogato per stile 92 ricette piazzate nelle finali dei concorsi homebrewing organizzati da MoBI e, precedentemente, Unionbirrai, e le abbiamo revisionate con gli autori, scalandole tutte a 23 litri per batch. L’editore, che era un po’ perplesso all’inizio, ha poi cambiato idea e credo che ora sia entusiasta!

La collaborazione con Max Faraggi continuerà in futuro? Avete altri progetti?
D: Con Max mi trovo molto bene a realizzare progetti di questo tipo: la sua anima da “ingegnere” si complementa molto bene con il mio modo di lavorare e quindi faremo sicuramente altre cose assieme. Stiamo al momento lavorando per una nuova edizione del La Tua Birra Fatta in Casa che prevedrà sia aggiornamenti che nuovi capitoli. Abbiamo allo studio altre cose, ma ancora nulla di   deciso. 

Con il Movimento Birrario Italiano avete stilato una splendida Guida Ai Locali Birrari, spiega a chi non è iscritto o non ha avuto ancora modo di acquistarlo, qualcosa di questa fatica editoriale, e da dove è nata l'idea? D: Esistevano guide affidabili e aggiornate per ogni area birraria del pianeta, tranne che per l'Italia. Se ne sentiva la mancanza! Il volume è stato realizzato da decine di associati MoBI che in giro per l'Italia hanno visitato circa 1000 locali birrari, ristoranti, beershop. E' quindi "indipendente", dato che la guida non vive su introiti pubblicitari ed è sostanzialmente realizzata da e per gli stessi associati MoBI: la guida cartacea è stata infatti data in omaggio ai soci ed è stata realizzata anche una app per smartphone http://www.movimentobirra.it/readnews.aspx?id=32, sempre consultabile, senza restrizioni, da soli associati MoBI.

Visto la scarsa documentazioni in italiano sulla tecnica BIAB , hai mai pensato di scrivere o al limite tradurre, qualche libro?
D: Come detto probabilmente avrà spazio nella nuova edizione del La Tua Birra, ma non escludo di approfondire…
Cos’è che Ti ha spinto tanti anni fa, a partecipare attivamente al mondo della birra?
D: Mi piace bere birra! Questa la ragione fondamentale.

Qual è il Tuo pensiero rispetto ai giovani che si avvicinano al mondo della birra?
D: bisogna avere mente aperta e pensare con la propria testa. In questo campo nessuno ha la verità in tasca e la caratteristica principale deve essere, a mio avviso, l’essere sempre curiosi.
Quale responsabilità credi di avere come Membro del consiglio direttivo del Mo.Bi., verso i giovani che frequentano le attività dell’associazione, i Tuoi corsi, concorsi, mostre e stage?
D: credo che dovremmo essere capaci di comunicare che la birra, prima di tutto, è un alimento e che si deve bere prima con la testa e poi con le papille. Mi piace la frase di Kuaska che dice “non ho mai visto risse nelle degustazioni di birra di qualità: queste accadono a chi si trangugia robaccia da hard discount”. Sta a significare che se l‘attenzione è sulla bontà del prodotto, l’alcool è elemento secondario. Ovviamente da non sottovalutare: o bevi o guidi.

Fare birra può essere un percorso di crescita, anche lavorativa, per i nostri ragazzi?
D: si, ma talvolta passa il messaggio che se la mia birra (magari da kit!) è buona, allora metto in piedi il mio birrificio e faccio fortuna. Vedo molta improvvisazione. Fare il birraio è un percorso lungo e serve preparazione adeguata, nonché una formazione teorica notevole, sia in biochimica che in gestione di impianto.

Come giudichi livello degli homebrewer italiani?
D: nel corso degli anni è cresciuto parecchio e mi illudo di avere potuto dare un piccolo contributo a questo risultato.

Tu che hai girato il mondo e conosci bene le realtà nel mondo della birra artigianale mondiale, qual’è il Tuo giudizio sulla birra creata in Italia?
D: abbiamo potenzialità ma mancano molte basi teoriche e formative. Chi ha intrapreso la carriera da birraio, con l’opportuno corso di studi ed è andato all’estero, è sempre stato apprezzato nel proprio lavoro. Conosco parecchi birrai in UK e anche Australia che sono ben considerati. Le caratteristiche di fantasia e creatività sono un bonus che spendiamo molto bene. Il problema è che molti in Italia improvvisano e percorrono strade già batture e ingolfate. Per darti un esempio: come è possibile che un birrificio nato oggi con un birraio che fa birra da due anni sia certo della stabilità del prodotto che vende con shelf life dichiarata di 18 mesi?! 

All’estero quali sono le sensazioni sia sul prodotto che sul marketing Italiano?
D: vedono la nostra birra esattamente come ci vedono per altri aspetti: estrosi, fantasiosi, esteti.

Quali ritieni le persone, che oggi, stanno dando il massimo sforzo, sia in denari, che di fatica, che cercano di far decollare, conoscere , il prodotto “birra artigianale italiana”
D: credo che lo sforzo sia da ascrivere a tutti indistintamente. Se un imprenditore birrario investe (tempo, denaro, cultura) nel fare crescere il proprio birrificio, allora l’intero movimento ne ricava un beneficio. Credo anche che il tempo sia galantuomo e chi opera male o esclusivamente per un bieco profitto, prima o poi scomparirà dal mercato.

Ce la fanno, com’è la risposta da parte dei consumatori oltralpe?
D: Per mia esperienza, non sono gli italiani che investono in nuovi mercati esteri, ma vengono contattati e coinvolti dagli stessi importatori che ricercano birra italiana da veicolare sui propri mercati. Chi lavora bene in Italia e ha successo qui non ha in genere la capacità produttiva di coprire interamente il mercato interno, figuriamoci quello export. Ma diversificare la clientela è sempre un bene dal punto di vista imprenditoriale e alcuni birrifici vendono più all’estero (per scelta) che in Italia. Insomma, il brand “Italia”, nonostante tutto, esprime all’estero sempre molto appeal.

La Tua definizione di “birra artigianale”?
D: è forse un termine abusato. Sarebbe forse meglio utilizzare quello di birrificio artigianale, come da normativa dell’artigianato: “colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l'impresa artigiana. L'imprenditore assume la piena responsabilità di rischi ed oneri di direzione e gestione e svolge in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”. Includendo nella definizione anche un numero massimo di dipendenti…
Poi come è ovvio esistono birre artigianali oscene e birre industriali ottime: Duvel, Sierra Nevada Pale Ale sono artigianali? No, ma sono birre ottime.

A cosa è dovuta la forte espansione della birra artigianale degli ultimi anni?
D: c’è anche un carattere di moda, ma segue un percorso di ricerca di prodotti migliori da parte del consumatore, come per il cibo in generale o altri aspetti della vita di tutti i giorni. La vita è troppo breve per bere birra cattiva!

Ritieni che tutti i birrifici artigianale, compresi i micro birrifici, utilizzino le tecniche giuste, o la scorciatoia degli estratti, potrebbe danneggiare in qualche modo l’immagine e la qualità della birra Italiana?
D: io stesso uso estratti. Se ben utilizzati si realizza un prodotto anche di buona qualità. Il problema maggiore oggi è la bassissima conoscenza delle tecniche di fermentazione e di utilizzo del lievito. E la birra la fa il lievito, lo ripeto. 

Quali sono, i maggiori ostacoli per un decollo in Italia della Birra Artigianale?
D: la dimensione di impresa troppo piccola. Non può avere futuro un birrificio (fosse brewpub, altro discorso) con sala cottura da 150 litri. Nella migliore delle ipotesi si lavora gratis… Sicuramente il problema non è l’accisa, come sbandierato da Assobirra. Questa battaglia portata avanti da birrifici artigianali e appassionati è un clamoroso autogoal a sostegno dei produttori multinazionali. Basta fare due conti su cosa incide per birra venduta a 10/12 Euro al litro…

Pensi che le istituzioni non dedichino la giusta attenzione alla birra favorendo il mercato del vino? E’ solo una questione di tradizione e/o che dell’altro?
D: il vino ha lobby consolidate. E i nostri birrai talvolta peccano in comunicazione. La birra farà strada; però meno attenzioni riceverà dalle istituzioni, meglio sarà per tutti! 

Quali sono i Tuoi progetti per il futuro?
D: andrò ad approfondire la tematica editoriale. Ho diversi progetti nel cassetto. Ma non anticipo nulla, anche per scaramanzia!

Lancia un appello per far conoscere il Mo.Bi.  e le sue iniziative?
D: Sino ad oggi abbiamo realizzato decine di corsi di degustazione e per homebrewing in ogni parte d’Italia, ma sono molto fiero di quanto realizzato dal punto di vista editoriale e forse con i libri si riescono ad avvicinare molte più persone che con altri mezzi. A parte i già citati La Tua Birra, La Guida ai Locali Birrari e Le Tue Birre - Ricette, MoBI ha tradotto Degustare le Birre, Progettare Grandi Birre e a brevissimo uscirà la trilogia sulle birre belghe, traduzioni di Brew Like  a Monk, Farmhouse Ales e Wild Brews sotto il titolo di Birre del Belgio vol. I, II e III. E non intendiamo fermarci….



Ti ringrazio Davide, è stata una chiacchierata proficua e molto interessante dove abbiamo toccato un pò tutti gli argomenti, dalla tecnica, tanto cara ai nostri lettori, ad argomenti più complessi che interessano sempre, anche se non ci toccano direttamente.


Grazie a voi e al vostro interessante blog! Mi fa sempre piacere vedere qualcuno che si sforza (con ottimi risultati, direi) di veicolare la nostra passione!



Vi ricordo che il meglio del Signor Malto - 2 uscite settimanali dall'archivio del Signormalto oltre 350 post.
Martedì uno degli articoli più cliccati di sempre.
Giovedì un post che ha riscosso meno successo. 
Mandateci una mail a signormalto@gmail.com  con i Vs commenti.

200.000 Grazie


Da pochi minuti abbiamo sfondato il tetto delle 200.000 visualizzazioni, GRAZIE! 
Non avremmo mai pensato di raggiungere questo traguardo, sopratutto dopo gli imprevisti delle due ultime stagioni. Oltre a questo continuate a scriverci e molti ringraziamo per la loro vicinanza e l'incoraggiamento che riceviamo quasi quotidianamente. 
Se pensate che poi 200.000 e ⅕ di MILIONE!!! fa girare la testa.
Un ringraziamento a tutti anche quelli che sono capitati per sbaglio.


giovedì 1 agosto 2019

Il Meglio Parte XI - Grainfather

Undicesima parte del Meglio del Signor Malto. Oggi parliamo di un esperienza elettrizzate, che è stata la chiave per la scoperta degli impianti all in one. Qui descriviamo l'esperienza con l'Amico Mario che grazie alla sua tenacia e la sua capacità a modificato un Grainfather con l'aggiunta di una centralina elettronica per avvicinarsi il può possibile all'automazione del Braumeister. Il post e del 2016.
Buona lettura.

Grazie all'amico Mario, abbiamo avuto la possibilità di vedere in azione il Grainfather. La giornata è iniziata molto presto, alle 6 siamo partiti alla volta di Saluzzo per incontrare Mario Pons, e poter seguire insieme, una cotta eseguita con questa macchina automatica di produzione Neozelandese.
Al nostro arrivo era già tutto pronto. Macchina in temperatura per il primo step a 44°C, grani macinati e l'acqua di sparge pronta nella sua pentola sopra il gas . Dopo i convenevoli di rito, Mario ci ha illustrato la macchina, ma soprattutto l'ArdBir, le funzionalità e come utilizzarlo. Non gli rende giustizia la scatola in cui è posizionato, ma l'importante è che funzioni e funziona alla grande.
La ricetta utilizzata da Mario è stata creata apposta per la nostra visita, con molti step per vedere al meglio le funzionalità del dispositivo. Si tratta di una Weiss.
Abbiamo inserito i grani, lentamente e mescolando bene. Una volta miscelato perfettamente, Mario a aggiunto il disco di filtraggio superiore e il raccordo per il tubo del troppo pieno. Premuto il tasto start sul ArdBir si parte, si accende la pompa e comincia il riciclo del mosto.
Durante le fasi del mash abbiamo potuto parlare un pò, e ne abbiamo approfittato per conoscerci un pò meglio e abbiamo pensato di condividere con voi questo breve excursus sulla storia birraria di Mario, trascrivendo la breve chiacchierata qui. http://brewinginabag.blogspot.it/2016/04/una-chiacchierata-con-mario-pons.html
L'atmosfera è strana, stiamo tranquillamente seduti a parlare e bere (anche se è un pò presto!), mentre il Grainfather stata eseguendo le operazioni impostate da Mario su l'Ardbir. Un'ora e mezza passa davvero in fretta, soprattutto quando si è in ottima compagnia e sul tavolo c'è ottima birra.
Dopo questo periodo di completo relax, torna in gioco l'uomo e dobbiamo verificare l'avvenuta trasformazioni degli amidi. Torniamo un pò nell'atmosfera del HB che conosciamo. La prova della tintura dello iodio da esito positivo si può proseguire con il mash out. Come per tutte le fasi, il display del ArdBir riporta tutti i passaggi programmati da eseguire. Dopo il mash out, si passa al lavaggio delle trebbie, l'operazione è semplice come la macchina. Si solleva il cestello contenete le trebbie e ci si versa dentro l'acqua di sparge. Quando si solleva il cestello il mosto tende a splasciare molto, e visto che si sta sempre molto attenti a non incamerare ossigeno in queste fasi, mi lascia qualche dubbio. Potrebbe essere interessante trovare il modo di posizionare il cestello in posizioni intermedie e piano piano sollevarlo. La soluzione potrebbe essere saldare altri piedini come quelli della zona inferiore del cestello, anche nella zona centrare e inizialmente posizionare il cestello più in basso e solo quando il livello del mosto sale, sollevarlo nella posizione più alta.
L'acqua di sparge viene immessa tramite un rubinetto collegato ad una pentola che Mario scalda tramite un fornello a gas, tenendo la temperatura sotto controllo tramite una sonda collegata ad un STC 1000.
In contemporanea Mario da il consenso all'accensione della resistenza per salire in bollitura, così si recupera altro tempo. Siamo quasi alla fine, sono passate poco più di due ore, e saliamo in bollitura. Sono rimasto stupito della bollitura vigorosa, nonostante l'ArdBir non fosse impostato a 100°C. Avevo sempre pensato, sbagliando, che le resistenze avessero difficoltà a portare il mosto il bollitura, e per lo più riuscissero a smuovere appena la superficie del mosto. Invece qui la bollitura è talmente vigorosa che la temperatura è settata a 98°C, per evitare di far fuoriuscire il mosto fuori dal Grainfather.
Anche la gestione del luppolo è programmata, con tanto di segnale acustico e visualizzazione sul display delle gittate e del tempo rimanente. Qui il luppolo utilizzato è in un unica soluzione, amaro a 60 minuti, ma si possono impostare tutte le soste desiderate. Il luppolo utilizzato è in pellets e inserito all'interno di un hopbag.
Ultima parte della cotta, il raffreddamento. E qui il Grainfather sfodera l'ennesima sorpresa. In dotazione insieme alla macchina c'è un controflusso. Apparecchiatura davvero efficace. Poco prima del termine della bollitura Mario lo collega alla pompa e la accende, per sterilizzare il tubo dove passa il mosto, mentre  i tubi dell'acqua che raffredderanno il mosto, sono ben segnalati con il tubo blu dove si collega al rubinetto e il tubo rosso nello scarico da dove esce l'acqua calda.
Siamo davvero alla fase finale, la resistenza si spegne e parte la pompa per far circolare il mosto all'interno del controflusso non ci resta che aprire il rubinetto dell'acqua ed iniziare a raffreddare. 
Il raffreddamento è istantaneo, l'acqua esce da subito ad una temperatura intorno ai 50°C per poi scendere sempre più man mano che il mosto si raffredda. Se penso a quanto tempo ci mettiamo noi, è un sistema davvero efficace.
Il tempo passa davvero in fretta abbiamo raggiunto il tempo massimo dobbiamo tornare a casa e lasciamo Mario a terminare le ultime fasi da solo. Ci dispiace davvero andare via, ma non possiamo prolungare oltre la visita.
Abbiamo comunque avuto il tempo necessario per dire che il Grainfather è un sistema automatico di grande utilità per tutti quegli homebrewer che hanno problemi di spazio e sono costretti a birrificare in casa ho in ambienti piccoli, come cantine o scantinati. Non è detto che comunque possa essere utilizzato anche da chi ha comunque poco tempo e vuole semplificarsi le cotte.
Naturalmente la modifica con ArdBird lo rende molto più simile al più blasonato Braumeister, ad un prezzo davvero competitivo. Come vi dicevo prima, il lavaggio delle trebbie fatto così, potrebbe essere migliorato con l'adozione di supporti per l'appoggio del cestello, anche 
nella zona centrale per effettuare un sparge in due fase ed evitare di splashare il mosto. Un appunto finale è per il quantitativo che si ottiene alla fine, ma essendo una sistema automatico casalingo, ritengo che i 23 litri canonici, sono una quantità accettabile. Insomma un giudizio finale positivo.
Ringraziamo Mario per la sua squisita ospitalità e disponibilità. Un saluto anche a Luca, compagno di Mario nelle cotte, che è passato a salutarci.
Programmiamo con Mario un prossimo incontro, magari con più calma per approfondire, insieme a lui, l'argomento. Ci salutiamo e lo ringraziamo ancora per tutto, è stata davvero una gran mattinata, una nuova avventura che va ad arricchire il nostro bagaglio birrario.

Grazie Mario! alla prossima.

Vi ricordo che il meglio del Signor Malto - 2 uscite settimanali dall'archivio del Signormalto oltre 350 post.
Martedì uno degli articoli più cliccati di sempre.
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martedì 30 luglio 2019

Il Meglio Parte IX - Luppolo Selvatico

Nono appuntamento con il del Meglio del Signor Malto.
Un post che ha riscosso molte discussioni ed interessamento. Nell'articolo trovate anche un metodo empirico (poco esatto ma indicativo) per calcolare gli IBU dei luppoli selvatici. 
Il post è del 2014.

Buona Lettura!


Ricordo lo scorso anno quando girando con Diana, la nostra cagnetta, ci siamo imbattuti in zone ricche di luppolo selvatico. Il primo pensiero è stato quello di utilizzarlo per produrre una birra con solo luppolo selvatico, ma i primi commenti di amici e conoscenti ci aveva lasciati un pò delusi. La maggior parte, ripeteva che non ne valeva la pena, troppo poco il potere amaricante rispetto ai suoi cugini domestici, selezionati dopo un secolo o più di selezioni e incroci, altri hanno tirato fuori odori e aromi assurdi, tanto che avrebbero scoraggiato chiunque a provarci, noi no.
Quest'anno siamo ripartiti alla grande, impossibile resistere alla visione di tutti quei grappoli che aspettavano solo di essere raccolti, c'è n'era dappertutto. Così abbiamo cominciato a fare qualche giro, e a selezionare delle zone, verificare e scegliere visivamente le caratteristiche dei coni, rotondi, allungati o molto allungati ed escludere altre zone con coni piccoli, molto piccoli. Ci è capitato anche di vedere anche alcune piante con infiorescenze maschili, che successivamente sono diventati coni femminili. Scientificamente non è possibile, ma vi assicuro che non avevamo bevuto.
Dopo aver individuato le zone più ricche, abbiamo cominciato ad assaggiare i coni, cercando di annotare le caratteristiche al gusto. Le sensazioni principali sono prima di tutto il gusto erbaceo del cono, con un crescendo di amaro man mano che si mastica, per poi arrivare alle caratteristiche speziate.  Per alcuni coni gli aromi sono stati molto forti che ci hanno costretto a sputarlo. Purtroppo non è stato possibile assaggiare un luppolo domestico fresco, per verificare direttamente la differenza. Purtroppo la piante acquistate in primavera non hanno prodotto coni e non abbiamo potuto fare una comparazione. Purtroppo, in primis, le condizioni ambientali di quest'estate e l'impianto in vaso, non ci ha aiutati nella prima esperienza di coltivazione,  e ci siamo ritrovati con le piante colpite da peronospora, sopratutto il Chinook, che ha presentato foglie gialle e bruciate dal fungo, ma i rizomi dovrebbero essere salvi.
Migliore sorte hanno avuto il Columbus e soprattutto il Willamette, ma il fatto di averli messi in vaso e in un terriccio per niente fresco e sciolto, ha creato delle zone di umido e secco alternato, che hanno causato dei danni meccanici alle radici, rompendo continuamente i peli radicali della zona pilifera, responsabile della precaria salute delle piante.
Il prossimo anno per mantenerli in vita dobbiamo per forza piantarli in pieno campo, e pensiamo di aver individuato una zona provvisoria di confine con un vicino, dove c'è una rete di separazione che potrebbe servire ai tralci per aggrapparsi.
Siamo sempre alla ricerca di un terreno adatto
alla coltivazione, ma per ora non abbiamo trovato niente di adatto, terreni troppo compatti che andrebbero fresati a fondo e mescolati alla sabbia, invece quelli adatti sono distanti o occupati e quelli liberi sono senza un approvvigionamento di acqua, e diventa impossibile coltivare il nostro amato luppolo senza acqua!
In attesa di poter confrontare qualche cono fresco domestico con quello selvatico abbiamo diversificato le zone delle raccolte del selvatico, dandoci dei nomi: "fiume" per la zona vicino al fiume, "campo" per le piante vicino al campo sportivo, e "nord" per le zone alla fine del paese.
Una volta raccolti, i coni sono stati prima divisi in sacchetti e poi pesati. Il peso è importante per stabilire in giusto grado di essiccazione e far perdere la gran parte di acqua contenuta, riducendo il peso di circa 80%.
Grazie alle giornate tiepide di questo Settembre, siamo riusciti ad essiccare bene, quasi tutti i coni, naturalmente l'essiccazione deve avvenire al riparo della luce solare diretta, in ambiente tiepido e non umido, solo alcuni etti hanno avuto bisogno di un supplemento in forno. Abbiamo quindi creato alcuni griglie su cui appoggiare i coni, per essere posizionati nel forno.
La costruzione è stata semplice, è abbiamo utilizzato materiale avanzato da altre  lavori precedenti. Lo scheletro è stato fatto con pezzi di perline e una rete metallica, avanzate dai lavori in cantina. Le perline sono state tagliate a 45 gradi e successivamente scartavetrate e unite tramite graffette, tutto molto semplice.
E a sua volta è stata attaccata la rete sempre con le graffette e successivamente rifilata.
Una volta sistemate abbiamo posizionati i coni sulle griglie e inseriti in forno alla temperatura di 40°C per circa un ora. Il tempo è stato breve perchè avevano già subito un primo essiccamento in garage per tre giorni, penso che sarebbero necessari almeno 5 ore a 40°C, per abbassare il peso dell'80%.
Naturalmente il forno è stato lasciato leggermente aperto.
Prima di terminare il lavoro, mettendo i coni essiccati, sottovuoto, per cercare di mantenere intatte le caratteristiche, abbiamo dovuto affrontare un dubbio amletico che  ci attanaglia fin dall'inizio, dovevamo stabilire la percentuali di alfa acidi presente nei nostri coni.
Non disponendo di strumentazione da laboratorio, e non volendo spendere una fortuna nel far analizzare il nostro luppolo selvatico, l'unica cosa che potevamo fare era semplicemente una prova comparativa, utilizzando come riferimento, del luppolo acquistato dove la percentuale di alfa acidi è scritta sulla confezione. La difficoltà di sapere con approssimazione la percentuale di alfa acidi, penso che riguardi anche chi coltiva direttamente il luppolo a casa e non dispone di attrezzatura da laboratorio. Per farvi un esempio, anche tra il luppolo che acquistiamo, stesso tipo, troviamo differenze a volte anche grandi. Noi siamo affezionati  al Cascade, uno splendido luppolo americano dal suo aroma agrumato inconfondibile, abbiamo avuto confezioni con percentuali alfa acidi da 4,5 a 7,7, e non mi sembra che sia poca la differenza. Quindi anche chi coltiva da se alcune varietà, non conosce con  esattezza la percentuale di alfa acidi.
Così con Andrea abbiamo pensato che preparando due the e poi comparando l'amaro, avremmo potuto stimare la potenza dei nostri coni selvatici. Abbiamo così preparato due the di luppolo, uno con un luppolo di cui conoscevamo la percentuale di alfa acido e uno con il nostro luppolo selvatico.
Abbiamo preso un pentolino e con mezzo litro di acqua, un cucchiaino di zucchero per aumentare la solubilità delle resine rispetto a sola acqua, e 10 grammi di luppolo selvatico fresco e abbiamo fatto bollire, coperto, per mezz'ora.
Stessa cosa con il luppolo confezionato, con la sola differenza che il luppolo confezionato è essiccato e quindi ne abbiamo utilizzato il 20% quindi 2 grammi.
Dopo la bollitura abbiamo fatto riposare fino a temperatura ambiente e poi li abbiamo versati in un bicchiere.
Quello giallo di sinistra è il Cascade, mentre quello rosso di destra è il selvatico. Abbiamo iniziato ad assaggiarli. Prima abbiamo assaggiato entrambi scoprendo che il luppolo confezionato era più amaro.  Poi abbiamo aggiunto circa 5 grammi di zucchero per volta, fino ad arrivare al punto di equilibrio tra amaro e dolce. Per quanto riguarda il luppolo confezionato abbiamo messo 5 cucchiaini colmi, circa 25 grammi di zucchero, mentre per il luppolo nostrano abbiamo aggiunto 3 cucchiaini colmi, circa 15 grammi di zucchero.
A questo punto entra in gioco Andrea, mente giovane e fresca, e soprattutto con ancora un tenue ricordo della matematica studiata a scuola, e ha praticamente creato un formula semplicissima con i dati in possesso, quantità di zucchero utilizzato per i due the e la percentuale di alfa acido del luppolo conosciuto, e l'incognita, la percentuale di alfa acido del luppolo selvatico. Quindi 15 grammi di zucchero del luppolo nostrano, diviso, i 25 grammi di zucchero di luppolo confezionato, il risultato moltiplicando con la percentuale del luppolo conosciuto 5,5%. Risultato 3,3%.
Tutto molto semplice, ma cè qualcosa che non ci convince. Dopo aver assaggiato il mosto della PallaRE, la birra fatta con il luppolo autoctono, risulta poco amara. Per calcolare la percentuale  di alfa acidi, abbiamo usato un luppolo essiccato e un luppolo fresco. Forse questa differenza ci ha falsato il risultato, è probabile che la percentuale di alfa acidi sia più bassa di quella stimata. Non rimarrà che ripetere le operazioni questa volta con entrambi i luppoli essiccati, e vedere se riusciremo ad avvicinarci meglio alla percentuale esatta.
La fase finale è stata il confezionamento, dopo avere essiccato tutti i circa 4,5 chili di luppolo fresco, prelevato in tre zone, alla fine abbiamo 800 grammi.
Per questa operazione abbiamo utilizzato una macchina per il confezionamento sottovuoto, che ci permette di lasciare all'interno dei sacchetti niente o pochissimo ossigeno, responsabile dell'ossidazione delle resine e della perdita di efficacia. 
L'altro fattore negativo per la conservazione è la luce, purtroppo non avendo a disposizione sacchetti che potevano bloccare la luce, ci siamo dovuti adeguare ai soliti sacchetti trasparenti.
Durante la fase di aspirazione della macchina, la cosa più importante è tenere ben premuto il sacchetto contro il luppolo,  per far si che tutta l'aria venga aspirata.
Per ora abbiamo fatto una sola birra di prova con il luppolo con un valore stimato di amaro medio, e all'assaggio del primo travaso, risulta poco amara, ma è anche vero che deve maturare, ma le possibilità che l'amaro aumenti sono poche, mentre l'aroma pepato, anche se poco percettibile, è il fattore distintivo di questo nostro luppolo selvatico. La quantità di luppolo utilizzato è stato discreto, pensando ai soli 10 litri finali, 20 grammi da amaro a 60 minuti più 40 grammi  da aroma diviso in due gittate una a 15 minuti e l'altra a 5, in più appena spento ancora 10 grammi. Avevamo calcolato un indice di amaro intorno ai 30 IBU, ma penso che alla fine saremmo intorno ai 10 - 12 IBU al massimo, con una percentuale di alfa acidi del nostro luppolo selvatico varietà "Fiume" intorno a 1,5% contro i 3,3% che avevamo preventivato. Un altro fattore che potrebbe aver influito sulla la qualità dei coni è stato il ritardo nella raccolta, infatti  molti coni presentano già delle zone secche, il prossimo anno dovremmo essere più tempestivi, e raccoglierli al momento di massima presenza di luppolina.
Ora non ci resta che provare una nuova cotta questa volta con la varietà "Campo", il luppolo con i coni più grossi, pesanti e amari, magari prima rifacendo la prova comparativa.
L'ultima varietà raccolta è stata la "Nord", un luppolo che alla fine si è rivelato con pochissima percentuale di alfa acidi, e sarà utilizzata solo per l'aroma, in quantità abbondante, visto che il suo apporto sarà davvero minimo. 
I prossimi passi saranno, prima di tutto rifare le prove comparative, poi fare qualche birra di prova con le due varietà selezionate, "Fiume" e "Campo", con quantitativi maggiori e per tempi più lunghi di bollitura, e poi tireremo le somme se ne vale la pena di continuare con queste varietà o il prossimo anno allontanarsi di più da casa,  per ampliare le ricerche e scovare qualche zona particolarmente interessante.
Questi sono gli undici sacchetti sottovuoto che sono il risultato finale della raccolta ed essiccazione dei nostri luppoli selvatici. Per chi mi conosce sa che questo è solo l'inizio di una avventura che non finirà mai, o almeno finché non troveremo qualcosa che ci soddisferà, e avrete modo, anche voi, di seguirci in questa avventura, qui sul blog,  appena il sole tornerà a splendere e con esso il caldo e la voglia di riprendere questa ricerca, ma queste saranno tante nuove storie. Ora non ci resta che imbottigliare la prima birra fatta con il luppolo selvatico PallaRE, ma questa è un'altra storia.


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giovedì 25 luglio 2019

Il Meglio Parte VIII - Birra senza Glutine

Ottavo appuntamento con il del Meglio del Signor Malto.  A tutti gli effetti questa è una guida su come fare la birra senza glutine con il kit. Il Post non ha riscosso un gran successo, forse perchè chi ha problemi con il glutine difficilmente beve birra, magari più per disinformazione che per reale difficoltà. 
Nel post trovate specificato ricetta e metodologia.
Il post è del 2016.

Buona Lettura!

Cari Amici dopo qualche mese riprendiamo le attività brassicole con una novità importante. In questa nuova stagione abbiamo deciso di dedicare parte delle cotte per brassare qualche birra senza glutine. Una scelta da una parte dettata dalla necessità, quindi una scelta di vita, dall'altra cercare una strada diversa per ottenere un prodotto nuovo con qualità organolettiche diverse, una nuova esperienza da condividere con tutti, come sempre, in un mondo che in Italia ha poche informazioni e molto spesso viene relegata come medicinale.
Il problema di questo nostro primo approccio è stato reperire le informazioni. Scarne, confuse, preda soprattutto di false credenze, che non ci hanno aiutato molto nelle prime scelte. Per fortuna all'occorrenza i soliti pochi amici fedeli sono stati pronti a dare qualche consiglio. Grazie.
Alla fine dopo aver rimandato per qualche settimana abbiamo deciso di intraprendere la strada più semplice, utilizzando lo sciroppo di Sorgo, per poter iniziare la nuova avventura.
La nostra scelta è ricaduta sull'estratto GWTW da 1,5 Kg. L'estratto in questione è quello che si trova nei normali canali online di vendita per prodotti per fare birra in casa.
La ricetta naturalmente è semplice, non tanto per il fatto che si tratta di una birra preparata con estratti, ma perchè abbiamo cercato di aggiungere il meno possibile, prima di tutto renderci conto delle caratteristiche del Sorgo, ma comunque caratterizzarla.
Alla birra ho dato un nome simbolico "Il Faro", proprio come un punto di riferimento iniziale, e abbiamo cercato nella semplicità di legarla ad uno stile belga, non proprio semplice, sia per le caratteristiche degli zuccheri canditi utilizzati, sia per il tipo di lievito utilizzato, forse meno appropriati i luppoli, ma nel ottica di utilizzare ingredienti senza glutine, abbiamo optato per i luppoli di produzione propria sicuri che non contengano contaminazioni.
Naturalmente anche lo zucchero candito sia il Dark realizzato con zucchero di canna integrale, sia l'Amber con zucchero bianco rigorosamente di produzione propria per lo stesso motivo.
Ma vediamo insieme la ricetta

Il Faro Belgian Brown Ale - E
Litri in pentola 10
Litri finali 25
Minuti bollitura 30
OG 1046
ABV 4,6%
Plato 11,6
IBU 26
BU/GU 0,57
EBC 29

Malti e Fermentabili
Estratto liquido di Sorgo 3000 gr. 81%
Zucchero Candito Dark 350 gr. 9%
Zucchero Candito Amber 250 gr. 7%
Fiocchi di Mais 100 gr. 3%

Luppoli
Chinook 10 gr. 30 min
Chinook 20 gr. 20 min
Columbus 30 gr. 10 min
Willamette 30 gr. 5 min
Willamette 18 gr. 0 min

Lievito
Safbrew BE 256 (ex Abbaye) 11,5 gr

Fermentazione 19°C
Priming 5 gr

Al contrario dalla passata stagione non abbiamo applicato la solita organizzazione minuziosa nelle fasi preparatorie della cotta, forse un pò superbi nel sottovalutare quella che ha torto ritenevamo un birra facile. Nei giorni precedenti alla cotta abbiamo acquistato tutta l'attrezzatura nuova, per evitare qualunque contaminazione. 
Consiglio per gli amici celiaci: acquistate attrezzatura completamente nuova per evitare problemi di contaminazione.
La mattina di Venerdì, giorno non proprio abituale per noi, Andrea si è recato alla sorgente per prelevare l'acqua. Come succede in questo periodo di fine estate, e nonostante le piogge torrenziali, sgorgava talmente piano da simulare la pipi di infante! 1h e 45 min per raccogliere 40 litri di acqua. Prima disattenzione: non abbiamo inserito una parte dell'acqua in frigo.
Dopo pranzo con molta calma abbiamo preparato gli ingredienti necessari, i due barattoli dello sciroppo di Sorgo, le due versioni di zucchero candito, il lievito, i luppoli e i fiocchi di mais.
Intanto abbiamo sistemato sui fuochi la pentola principale con 10 litri di acqua dentro, una pentola più piccola con 4 litri di acqua per gli eventuali rabbocchi durante l'evaporazione e da utilizzare per pulire i barattoli di Sorgo e un'altra pentola con acqua del rubinetto per mettere a bagnomaria i barattoli di Sorgo.
Acceso tutto e siamo partiti.
Per prima cosa abbiamo sistemato la sacca dentro la pentola e arrivati a 70°C abbiamo versato i 100 grammi di fiocchi di mais. Siamo stati in dubbio nel inserire i fiocchi, per evitare di creare una birra torbida.
L'utilizzo dei fiocchi in una specie di minimash di 40 minuti deriva dai tempi delle prime esperienze con i kit quando utilizzavamo questa tecnica, con fiocchi di orzo, per migliorare la schiuma. I buoni risultati passati ci hanno convinti a riproporli anche qui. Passati i 40 minuti abbiamo sollevato la sacca, l'abbiamo lasciata un pò scolare e dopo qualche minuto leggermente strizzata. Abbiamo aggiunto i due barattoli con lo sciroppo di Sorgo riacceso e siamo partiti per la fase di bollitura. Durante la risalita sono venute a galla molte proteine, creando una schiuma compatta e spessa, che abbiamo provveduto a schiumare.
Appena il mosto di Sorgo ha cominciato a bollire abbiamo cominciato ad inserire il luppolo. Come vi dicevo prima, i luppoli utilizzati sono di nostra produzione e confezionati in ambiente non contaminato da orzo o frumento.
Il Chinook che fin dalla apertura del sacchetto ha rivelato quel suo carattere forte e pungente, resinoso, è stata una piacevole sorpresa pensare che quel luppolo era stato confezionato 12 mesi prima e lo avevamo cresciuto noi. Un pò meno entusiasti per gli atri due. Il Columbus colore giallo verde chiaro segno di invecchiamento probabile presenza di ossigeno nel sacchetto sottovuoto, l'aroma floreale era appena percettibile. Il Willamette con una colorazione verde intensa ma all'apertura ci ha donato un aroma poco intenso, poco erbaceo, più simile ad un Fuggle inglese che ad un Willamette americano. Per dare un giudizio più completo attenderemo l'assaggio della birra e dare così un voto all'esperienza della coltivazione casalinga di luppoli americani.
Il Chinook è un luppolo davvero potente e resistente alle condizioni climatiche del nostro paese e anche di questa zona prealpina, ci sentiamo di consigliarlo a tutti i neofiti che vogliono iniziare a farsi un idea su come coltivare il luppolo.
La fase di bollitura è durata 30 minuti, il tempo necessario perchè il luppolo rilasci le sue caratteristiche amaricanti ed aromatiche, evitando che il mosto scurisca troppo. Così appena arrivati in bollitura abbiamo unito al mosto la prima gittata di Chinook 10 grammi per dare un pò di amaro. A 20 minuti la seconda gittata di Chinook con 20 grammi. A 15 minuti dalla fine della bollitura è stato il momento degli zuccheri canditi. Anche gli zuccheri canditi sono stato auto prodotti, per evitare i soliti problemi di contaminazione che risulta dai sacchetti in vendita dove spesso c'è la dicitura "Può contenere tracce di orzo, frumento e fiocchi".
La ricetta mi è stata donata da un amico e si possono trovare video sulla preparazione su Youtube. Anche noi nel nostro piccolo, nel video che seguirà l'articolo questo sabato (ndr), ho inserito all'inizio le riprese delle fasi salienti di come abbiamo prodotto il nostro zucchero candito. La ricetta è semplice
1000 gr di zucchero
250 ml di acqua (chiaro) 300 ml di acqua (scuro)
5 gr di acido lattico
2 gr di bicarbonato di ammonio
Per lo zucchero potete usare sia zucchero bianco che zucchero di canna come abbiamo fatto noi. Diciamo che con quello di canna è più difficile capire a che colorazione si va incontro, è scuro dall'inizio alla fine ed ideale per fare il tipo più scuro. Notevoli le caratteristiche olfattive aromatiche dalla liquirizia alla nocciola tostata, sentiremo all'assaggio della birra se ritroveremo questi aromi. Il bianco classico da cucina invece si presta meglio ad una colorazione più chiara, ma alla fine rimane semplicemente una aroma di zucchero filato, vi ricordate..., e un sapore molto dolce. Come acidificante abbiamo usato il limone, ma non riteniamo sia stata la scelta più azzeccata. Purtroppo mi sono accorto di non aver più acido lattico e il limone è stato un ripiego. Il problema del limone è che non si è certi della quantità di acido citrico che contiene, mediamente un 6-7%, e dosarlo non è semplice.
Riteniamo dopo la nostra esperienza che un paio di cucchiai sia il massimo per evitare poi di inibire la cristallizzazione dello zucchero. Se potete utilizzate l'acido lattico.
Per il bicarbonato di ammonio, è stato semplice reperirlo, in una pasticceria. Si tratta della ammoniaca per dolci che potete reperire in qualunque supermercato nel reparto dolci. Ne va utilizzato una punta di cucchiaino. Non abbondate assolutamente, primo perchè la reazione può essere molto più lunga e la schiuma continuare a formarsi per diversi minuti, ma soprattutto perchè si sviluppano vapori di ammoniaca. Areate il locale durante queste fasi perchè i vapori che si sviluppano oltre a essere fastidiosi sono anche nocivi.
Per l'inserimento degli zuccheri abbiamo preferito diluire il chiaro con un paio di bicchieri di acqua bollente per creare alla fine uno sciroppo denso, aggiungendo così un pò di acqua al mosto che durante la bollitura evapora. E' importante cercare di mantenere in un mosto di 10 litri la quantità di acqua costante per evitare di alterare gli IBU della ricetta, visto che si tratta di un mosto molto concentrato. Invece lo scuro abbiamo inserito i pezzi direttamente nel mosto e mescolando bene lo abbiamo sciolto. Mi raccomando mescolate bene per evitare che lo zucchero rimanga attaccato sul fondo della pentola e poi si bruci.
Terminato di mescolare a 10 minuti dalla fine abbiamo inserito i 30 grammi di Columbus. A 5 minuti e a 0 cioè appena spento il fuoco abbiamo inserito il Willamette per dare un pò di aroma erbaceo che non sta male.
Siamo alla fase di raffreddamento. Il fatto che fosse una pentola con circa 10 litri di mosto non gli abbiamo dedicato la giusta attenzione, che ha causato un allungamento dei tempi di raffreddamento prolungando ad oltre un ora il raffreddamento da 100°C a 22°C. L'acqua del rubinetto non è ancora fredda e alla fine abbiamo dovuto aggiungere del ghiaccio nell'acqua per abbassare la temperatura.
Nella attesa ci siamo deliziati con una merenda a base di crostata di albicocche e una pinta della nostra scura.
Siamo alla fine, una volta terminata la fase di raffreddamento abbiamo preparato il fermentatore con dentro qualche litro di acqua e gli abbiamo versato il mosto facendolo passare attraverso un colino in acciaio inox per trattenere il luppolo libero.
Ci ha creato qualche problema con qualche pezzetto di luppolo e qualche seme che è finito nel mosto, sicuramente la prossima cotta il luppolo lo sistemeremo nei pratici filtri per la bollitura del luppolo. Prima di versare l'acqua per raggiungere il livello finale di 25 litri abbiamo versato una parte di lievito.
Per questa birra senza glutine abbiamo utilizzato il secco di Fermentis ex Abbey BE 256 utilizzato soprattutto per le birre di abbazia per la sua capacità di sopportare le alte gradazioni alcoliche, garantito da Fermentis "Senza Glutine".
Terminato di versare il lievito abbiamo aggiunto l'acqua versata dall'alto per ossigenare il mosto. Qui ci siamo accorti di non aver preso l'unico dato importante, la densità iniziale. Di solito è sconsigliato prendere il campione dopo aver versato il lievito, ma non potevamo far altro, un'altra disattenzione. La misura della densità a stabilito il perfetto raggiungimento della ricetta con 1046.
Non ci è rimasto che aggiungere il restante lievito, mescolare energicamente e chiudere il coperchio. Il fermentatore è stato successivamente posizionato in cantina nella cella riscaldante con la temperatura a 19°C.
Sabato mattina il gorgogliatore era muto, una novità per noi che siamo abituati ad avere una fermentazione piuttosto tumultuosa già dopo poche ore. Il liquido nel gorgliatore era in pressione ma non sufficiente da far fuoriuscire l'anidride carbonica, in superficie non era presente alcuna schiuma o residui e il mosto era stranamente limpido come se non ci fosse attività da parte dei lieviti. Stesso discorso domenica pomeriggio, nessun gemito dal gorgogliatore, solamente aumentata la pressione all'interno del fermentatore al limite dello scavalcamento della curva, ma la cosa più evidente era uno strato alto un paio di centimetri di lievito sul fondo del fermentatore.
Ieri mattina mi sono recato in cantina munito di densimetro pronto per passare all'azione se ce ne fosse stata la necessità. Appena aperta la cella ho notato che il livello del liquido nel gorgogliatore non era cambiato, ma sul fondo mi sembrava ci fosse ancora più lievito, di una rosa intenso. Preso sinceramente un pò dallo sconforto, ho prelevato un campione di mosto per verificare se c'era stata una fermentazione. All'apertura del rubinetto è scesa un quantità notevole di lievito e quando ho inserito il densimetro ho schiumato affondo il mosto che appena ho cominciato ad agitare il densimetro a creato una schiuma esagerata, rivelando la notevole quantità di anidride carbonica intrappolato nel mosto "ecco perchè non gorgogliava, tutta l'anidride carbonica è intrappolata nel mosto!"
La misura della densità è stata di 1032, non ha attenuato molto ma comunque la fermentazione è partita con calma, ma è partita.
Di istinto ho scrollato il fermentatore e la pressione è salita alla grande cominciando a gorgogliare.
L'assaggio del campione ha rivelato un gusto pungente e speziato mentre la dolcezza del sorgo si è trasformato in un gusto aspro e astringente simile al tamarindo.
Stamattina anche se con la consueta calma gorgogliava e mi è pure sembrato che sul pelo del mosto ci fosse un pò di schiumetta.
Stiamo a vedere come si trasforma nelle prossime settimane. Mi dovrò adeguare al suo andamento lento ed è probabile che il travaso venga effettuato tra una settimana.
C'è anche da dire che è il primo tentativo, se facciamo un raffronto con la nostra prima birra da kit, c'è ancora moltissima strada da fare.
Un'esperienza che ci ha fatto capire prima di tutto, che qualunque birra (cosa) si faccia con qualunque tecnica si decisa, bisogna essere attenti e affrontare le cose con umiltà, gli ostacoli possono trovarsi ovunque, anche nelle cose più banali.
Le prime impressioni sono contrastanti, sinceramente pensavamo che il mosto fosse semplicemente diverso per gli aromi, senza considerare che senza glutine avesse delle caratteristiche diverse anche per il percorso nel diventare birra, d'altronde pensavamo che erano comunque semplicemente zuccheri. Invece il mosto si è comportato in maniera completamente diversa facendoci addirittura credere di non aver fermentato.
Mi vengono in mente i primi momenti della prima birra in latta, la Draught della Coopers, la stessa trepidazione per quel maledetto gorgogliatore, che alla fine non risulta determinante per la trasformazione degli zuccheri, come poi ho capito in seguito quando abbiamo avuto delle trasformazioni senza che il gorgogliatore se ne accorgesse.
Questa prima cotta pilota, perchè questa era una cotta pilota, è stata fatta per capire e comprendere le caratteristiche e il comportamento di un malto senza glutine.
Per la prossima cotta, replicheremo ancora una birra senza glutine soprattutto per vedere se abbiamo capito qualcosa di questa prima cotta pilota, sempre con lo stesso sciroppo di Sorgo, magari con qualche modifica negli aromi, visto che per ora non possiamo far altro.
Ora non ci resta che aspettare qualche giorno per vedere quanto tempo ci metterà per concludere la fermentazione da ricetta intorno a 1012, ma se ci mette il tempo che ci sta mettendo a fermentare dovremmo aspettare qualche settimana.
Vi ricordo che sabato sarà online sul canale YouTube del Signormalto, la video cotta completa di questa birra senza glutine.
Restate sintonizzati.

Vi ricordo che il meglio del Signor Malto - 2 uscite settimanali dall'archivio del Signormalto oltre 350 post.
Martedì uno degli articoli più cliccati di sempre.
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