Ormai è passato un anno e mezzo, da quando, insacchettati nel suo scatolone, arrivarono i luppoli di Mario. Erano i primi giorni di Marzo. Quanti progetti e quanta curiosità nell'aprire quella scatola.
Ero sicuro che avrei ottenuto un buon risultato, vista la mia esperienza botanica, dopo oltre trent'anni di esperienza nel mondo del bonsai.
Avevo sentito Mario Pedretti l'anno precedente, per una discussione sul luppolo selvatico, ed eravamo rimasti d'accordo che avrei preso qualche rizoma per fare qualche prova. Se la coltivazione del luppolo riscuote sempre più successo lo dobbiamo senz'altro a lui, che è stato un pioniere in Italia.
Cosi cominciai a cercare un posto dove poter piantare i rizomi, ed iniziare la coltivazione del luppolo per le nostre birre, più che per risparmiare, per avere la soddisfazione di coltivare da se una parte degli ingredienti, e sentire le birre più "nostre", uno dei tanti tarli di chi inizia.
Dopo qualche mese alla ricerca di un terreno adatto, sciolto (con una giusta proporzione di argilla e sabbia), esposto a sud (illuminazione solare tutto il giorno) e la presenza di un pozzo, gettai la spugna, si trovavano solo terreni senza approvvigionamento di acqua e con un terreno troppo compatto. Non avevamo più tempo, la primavera si avvicinava, e così tirai giù un progetto per piantumare i rizomi a fianco del muro del garage. L'intenzione era quella di sistemare dei cavi di acciaio, per formare una rete su cui far arrampicare i tralci del luppolo, l'esposizione solare era ottima, e il terreno ricco di sabbia. Proposi il progetto a mio figlio e mia moglie, e mi dissero che per la zona scelta avevano da propormi la costruzione di una siepe di erbe aromatiche, così invece di luppolo, piantammo salvia, rosmarino, timo, santoreggia, origano, erba cipollina, menta, dragoncello, limoneto, ruta, e alla fine convinsero anche me.
Dopo qualche giorno arrivò lo scatolone, con dentro i rizomi delle tre varietà americane, Chinook, Willamette e Columbus.
Non avevamo molto tempo per decidere, così per evitare che seccassero, decidemmo di piantarli in vaso, provvisoriamente. Purtroppo non riuscimmo a trovare altra sistemazione e le piante rimasero in vaso per tutta la stagione.
Le piante soffrirono molto, crescevano stentate e verso fine stagione cominciarono ad ammalarsi. La patologia fungina più comune è la Peronospora, un fungo micidiale, che si manifesta, con depigmentazioni a carico dei tessuti verdi, a cui seguono in genere necrosi più o meno estese. A carico dei coni si instaurano processi degenerativi che si manifestano con necrosi o marciumi. L'esito degli attacchi di peronospora è spesso letale, soprattutto quando interessa le piante erbacee, come il luppolo.
Non abbiamo eseguito nessun trattamento, nella speranza che una diminuzione delle annaffiature, avrebbe comunque rallentato la malattia. La stagione si concluse molto presto, le piante deboli persero velocemente le foglie e a metà settembre, cominciarono a ingiallirsi, seccarsi e entrare in dormienza autunnale.
Le piante rimasero sono la neve, per tutto l'autunno e l'inverno, con poche speranze di vederle in vita in primavera.
Quando giunse la nuova stagione, alcuni problemi familiari ci tenero lontani dalle nostre attività del tempo libero, e sia la birra, l'orto e le nostre piantine furono per un periodo abbandonate.
Nonostante lo stato di abbandono, i rizomi si risvegliarono e con una forza inaspettata cominciarono e crescere crescere ed allungare i loro tralci.
Un anno era passato ma il problema di trovare un luogo per la messa a dimora rimaneva. Non avevamo molto tempo, ho avremmo rischiato di far passare un'altra stagione in vaso ai nostri amici luppoli, e questa volta sicuramente dagli esiti letali.
Dopo qualche settimana, le piante cominciarono nuovamente ad indebolirsi, la crescita si arrestò e le foglie cominciarono a diventare gialle e a seccare i margini, la peronospora si era risvegliata ai primi caldi, non si poteva più aspettare.
Decidemmo così di utilizzare uno spazio libero, non molto grande, a confine con un vicino, parte finale del piccolo prato seminato tre anni fà.
Dopo il lavoro eseguito sul altro lato del confine, con la costruzione di una siepe di bambù e cornus variegato, cominciammo la sistemazione dei supporti su cui posizionare i tralci cresciuti liberi nei vasi.
Abbiamo utilizzato delle canne unite tra loro. Lo sviluppo lineare delle canne è misero, il luppolo geneticamente allunga i tralci fino a 9 metri, ma per questa stagione sono stati sufficienti, ma il prossimo anno avremo il problema di gestire l'esuberanza dei tralci.
Quando siamo riusciti a sistemare le piantine, la stagione era già inoltrata, il caldo asfissiante di questa splendida estiva era già potente, e non eravamo certi che le piantine si sarebbero adatte, figuriamoci se pensavamo che avrebbero prodotto qualche cono. Come era capitato in vaso la pianta più robusta vegetò e crebbe meglio, il Chinook che si è rivelata l'essenza più robusta è adatta a questo clima rigido prealpino, anche il Willamette è cresciuto bene, mentre il Columbus che era la pianta più colpito dalla peronospora risulto la in difficoltà.
In primo piano il Willamette, con qualche foglia colpita dalla peronospora in basso, mentre sullo sfondo il Chinook, forte robusto.
Questo il Columbus molto debole, con poche foglie.
Saranno state le temperature alte, ma le piante nel giro di poche settimane cominciarono a crescere e a distendere i loro tralci lungo la struttura creata. Tutti i giorni dovevo sistemare tralci ribelli che tendevano ad arrampicarsi sul canniccio di confine.
Nel giro di due mesi cominciarono a produrre coni, non avremmo mai pensato che sarebbe successo.
Fa sempre piacere vedere una pianta crescere e fruttificare, chi ha la passione per le piante può capire.
Da fine luglio, ogni giorno, è stato un curiosare dai i tralci, per vedere come puntavano, in continuazione, piccoli ricci come quelli del castagno, un invasione, non credevamo hai nostri occhi.
Nel giro di tre settimane i coni completarono lo sviluppo, diventato i coni maturi che tanto amiamo.
I coni del Chinook molto grossi e lunghi, dovuto probabilmente anche al vigore della pianta.
I coni del Willamette, sempre grandi ma meno allungati di quelli del Chinook.
Mentre i coni del Columbus, molto più globosi e piccoli, ma sulle dimensioni non siamo certi quanto abbia influito la robustezza della pianta.
Fino qui tutto bene. Annaffiatura costante ogni tre giorni, visto il terreno ricco di sabbia e il clima torrido, anche se comunque le radici sono rimaste sempre all'ombra del canniccio.
Ora cominciava il difficile, quando raccogliere? e poi come seccarli? e la conservazione?
Con l'esperienza acquisita l'anno scorso, con i luppoli selvatici, e il consiglio scritto (purtroppo) di qualche amico, più o meno avevamo un idea di quando raccoglierli, il famoso effetto "carta velina", la sensazione che si deve avere al tatto al momento della raccolta dei coni.
Dopo la raccolta è importante che i coni si asciughino bene prima di essere messi sotto vuoto o messi in sacchetto. Certo sottovuoto si conservano molto più a lungo, se poi tenuti in frigo si aumenta la conservazione. C'è chi li sistema anche nel congelatore.
Ai primi di settembre, nonostante che i coni non "suonassero" ancora bene, abbiamo deciso di raccoglierli lo stesso, le previsioni del tempo non promettevano niente di buono, e qui quando comincia a piovere non la smette più. Rischiavamo di trovarci con coni bagnati alla raccolta, con il rischio di farli marcire, sarebbe stato un peccato dopo tanta fatica, probabilmente sarebbe servito ancora una settimana di maturazione sulle piante.
Il Chinnok ha prodotto 350 grammi di coni freschi.
300 il Willamette.
150 il Columbus.
I coni sono stati sistemati su una griglia di acciaio utilizzata per le zanzariere, fissati ad un telaio di legno. Per chi ci segue da un pò, sa che le griglie erano state costruite per seccare i coni del luppolo selvatico lo scorso anno. Le griglie sono state sistemate sopra dei quadrelli di legno per aumentare il passaggio dell'aria.
Nei giorni successivi i coni sono rimasti nel garage a seccare, il profumo nell'aria era davvero notevole, quando si apriva la porta le narici erano inondate da un aroma intenso, erbaceo, pungente.
Non abbiano idea se abbiamo lasciato i coni a seccare troppo, essendo la prima esperienza vera, tralasciando i luppoli selvatici, che in confronto erano molto più freschi al momento del confezionamento. Chiedendo ad amici, ci avevano consigliato un tempo tra i 5 e 10 giorni, in base alla freschezza dei coni e della temperatura dell'ambiente.
I coni erano leggermente freschi (effetto carta velina basso) e l'ambiente intorno ai 23 gradi.
Dopo 6 giorni i coni apparivamo molto secchi (forse troppo), e all'odorato l'aroma era molto tenue, pensiamo di avere perso la gran parte della luppolina fuoriuscita all'apertura dei coni.
Purtroppo una volta confezionati e pulito il tavolo, abbiamo trovato un strato di luppolina sotto alle griglie che sarebbe stato meglio fosse rimasta al interno dei coni.
Per il confezionamento abbiamo utilizzato la nostra macchina per sottovuoto, una macchina ormai indispensabile per noi, che consigliamo vivamente a tutti, e su internet si trovano a prezzi accessibili per tutte le tasche.
Alla fine una volta seccati sono rimasti 70 grammi di Chinook, 68 grammi di Willamette e 30 grammi di Columbus.
Ora non resta che provarli, già dalla prossima cotta. Non conoscendo la percentuale di Alfa Acidi, ed essendo alla prima esperienza, utilizzeremo i coni a 0 minuti, solo per l'aroma.
Per il prossimo anno sarà difficile che i rizomi saranno rimossi, e le piante nasceranno ancora li, invece per il 2017, sarà probabile che cominceremo a dividere rizomi, intanto per contenere la crescita, visto che è una pianta infestante che tende a correre sotto al terreno, e non vorrei che finisse per invadere il terreno del vicino e poi per moltiplicarli, anche se poi avremo nuovamente il problema di trovare un terreno dove sistemarli, ma quella è un'altra storia.