domenica 6 novembre 2016

Come utilizzare il lievito del fermentatore

Da tempo, parecchi lettori, mi hanno chiesto cosa fare con il lievito che rimane sul fondo del fermentatore, e visto che non riusciamo ha riprendere l’attività brassicola, ho pensato di scrivere questo post, su come fare.
Fin dall’inizio della nostra attività brassciola, quel fondo sul fermentatore ha sempre destato in noi l’amletico dubbio “Ma è lievito perchè buttarlo?”. Le prime volte non facevamo altro che essere dispiaciuti di tanto spreco, ma alla fine finiva nel lavandino.


Poi decidemmo che comunque lo si poteva utilizzare per far fermentare una nuova birra, anche se bisognava utilizzarlo nel minor tempo dopo aver svuotato il fermentatore dalla birra precedente. Imbottigliare la vecchia e brassare la nuova nello stesso giorno, può essere impegnativo, soprattutto se si è soli.
Così cominciai ad informarmi su come recuperarlo, per poterlo riutilizzare successivamente e provammo un paio di volte “a lavarlo”, con buoni risultati, potete trovare la cronaca in un post diviso in due parti prima e seconda
Sinceramente è un lavoro impegnativo, prima di iniziare dovete essere consci di quello che fate, il rischio di infettare la futura birra è reale, tutto deve essere ben pulito e sanificato e le fasi del lavoro devono essere ben pianificate, potrete così ottenere lievito gratis, e birre dalle stesse caratteristiche, stessi aromi anche per le nuove.
C’è da aprire una parentesi, il fatto che dopo ogni cotta, il lievito possa modificarsi, penso sia normale, anche se non è il caso di affrontare qui un discorso chimico, per noi HB è difficile mantenere costante un processo relativamente semplice come rifare 
la stessa birra, potete capire mantenere intatte le caratteristiche di un lievito.


Solo dopo oltre un anno, decidemmo di recuperarlo per produrre la nostra amata pizza e farci il pane. Inizialmente lo utilizzavamo lo stesso giorno del travaso o del imbottigliamento, ma poi diventava impegnativo, capitava spesso di avere altri impegni e non riusciamo ad utilizzarlo subito. Così dopo un pò di prove, abbiamo creato una specie di pasta lievitante, da utilizzare quando necessario.
Il processo è semplice ma ha bisogno di un pò di attenzione.
Prima di tutto è importante decidere quando raccogliere il lievito, cioè dopo il primo travaso o il secondo. Essendo una raccolta per far lievitare della farina, la purità del lievito non ci interessa più di tanto, non ci interessa mantenere delle caratteristiche di aroma e gusto ma semplicemente far lievitare la nostra pasta.
Chi fa All Grain Classico tre tini, ha meno problemi, perchè il lievito del primo travaso non è “inquinato” dalle farine e dai residui, mentre chi, come noi, fa BIAB, sul fondo del fermentatore nel primo travaso, è ricco di residui. C’è un ulteriore complicazione, chi esegue la luppolatura a freddo o DH nel secondo travaso, e il luppolo lo utilizza libero, ci si ritroverà, dopo il travaso per l’imbottigliamento, sopra al lievito, uno strato di luppolo, che rende difficile la raccolta, e quasi impossibile da utilizzare.


Per noi che facciamo quasi sempre DH libero con il formato pellets, dobbiamo scendere ad un compromesso utilizzando il lievito raccolto dal fermentatore dopo il primo travaso. A volte abbiamo utilizzato il lievito del secondo travaso senza DH, bisogna dire che il lievito è molto più pulito e, soprattutto per il pane, si sente anche quando si mangia. Per la pizza invece è meno marcata la differenza perchè comunque vengono aggiunti altri ingredienti che coprono molto l’aroma apportato dal lievito.
Una altra cosa che è bene ricordare e che nel lievito del primo travaso c’è anche una componente di residui di luppolo che tendono ad amaricare la pasta e non è difficile poi ritrovarsela un pò amara.
Quindi se si puoi, meglio il lievito del secondo travaso.
Fatta questa precisazione, andiamo con il procedimento.
Di solito raccogliamo 5 cucchiai abbondanti, naturalmente il lievito più compatto è più semplice da raccogliere, come il secco S-04, ne raccogliamo intorno ai 50 grammi, invece con lieviti meno compatti è più difficile raccogliere la quantità esatta, visto che il lievito è più liquido mescolato al mosto, e quindi la concentrazione sarà più bassa, meglio raccoglierne almeno 100 grammi.
Sul quantitativo di raccolta non c’è un limite, noi facciamo così perchè abbiamo un contenitore ermetico da chilo, ma se avete la possibilità di tenerlo in più contenitori, potete raccoglierlo anche tutto e vi garantisco che c’è ne tanto!
Il lievito estratto lo sistemiamo in una terrina e poi aggiungiamo acqua fino a scioglierlo bene, naturalmente con quello meno fluido servirà molta meno acqua, qui prendiamo il caso del lievito più denso, mescoliamo bene fino a renderlo quasi completamente fluido, un fluido più cremoso dell’acqua.


A questo punto aggiungiamo piano piano farina, noi utilizziamo il tipo Manitoba, una farina più “forte” adatta per la creazione della pasta madre, ma utile anche per l’impasto per pizza, aggiungiamo fino a creare un panetto piuttosto duro, il punto di pasta deve essere poco prima che la pasta si spacchi durante il mescolamento.


Vi consiglio una volta che il panetto diventa più solido, di terminare di impastarlo su una tavola di legno o di marmo, per dare ancora più forza. Una volta pronto, lo riponete in una ciotola capiente e lo coprite bene con pellicola trasparente per evitare che prenda aria e si secchi in superficie, che è la cosa che non deve accadere, e lo lasciate lievitare a temperatura ambiente per un paio di ore.
Dopo la prima lievitazione, a causa della grande proporzione tra lievito e farina, la pasta diventerà molto più morbida e appiccicosa, è il momento giusto per riporla dentro un contenitore ermetico e posizionarla in frigo. Il contenitore ermetico serve soprattutto per evitare che il lievito si contamini con muffe e funghi, di cui il nostro frigo ne è ricco, dispiacerebbe dopo tanta fatica doverlo buttare. Come accorgersene se dovesse essere contaminato…. ve ne accorgerete!


Per mantenere un buon ceppo di lieviti si consiglia di non lavare il contenitore, ed aggiungere la pasta tutte le volte nello stesso.
In queste condizioni la pasta lievitante può stare in frigo, dai 7 a 10 giorni, mantenendo le sue caratteristiche, poi inevitabilmente i lieviti cominceranno ad indebolirsi e la forza lievitante scendere.
Se non si utilizza in questo lasso di tempo consiglio, per mantenerlo in “forza”, di “rinfrescarlo”. Procedimento: tirare fuori dal frigo il contenitore, estrarre la nostra pasta lievitante, metterla all’interno di una terrina, aggiungere un paio di cucchiai di acqua a temperatura ambiente e cominciare a sciogliere la pasta. Una volta miscelato bene l’acqua alla pasta lievitante, aggiungere farina finché si ricrea il panetto e riporlo nel contenitore all’interno del frigo.
Questo processo può essere ripetuto diverse volte, naturalmente ogni volta che si rinfresca, la pasta lievitante aumenta di volume e puoi capitare, se non avete amici a cui cedere parte del panetto, di ritrovarsi con un quantitativo eccessivo che non riusciremo più a far stare nel nostro contenitore, o avete altri contenitori o sarete costretti a buttarne una parte. Se ne utilizzate una parte, diciamo 200 – 250 grammi alla settimana, non avrete problemi.
Naturalmente lo potete reintegrare con altro lievito, estratto dopo una nuova birra, rimpastandolo insieme alla pasta lievitante che avete da parte. Vi consiglio di creare un nuovo panetto, come vi ho illustrato sopra e poi dopo la fase di lievitazione a temperatura ambiente, impastate il panetto nuovo e la pasta lievitante che avete nel barattolo, avendo cura di tirare fuori il panetto in frigo, un paio di ore prima.
Ma il metodo migliore per rinfrescare la vostra pasta lievitante, se non avete a disposizione del lievito esausto, perchè per qualche motivo non avete fatto la birra, e quello che di utilizzare un pezzo di pasta nuova avanzata dall’impasto.


Nella foto potete vedere, sopra la pasta lievitante del barattolo e sotto un pezzo da 100 grammi della pasta per pizza appena preparata, che successivamente saranno mescolati, per far si che i lieviti all’interno della “vecchia” pasta lievitante si possano cibare dei nuovi zuccheri presenti nella pasta nuova.
Ricetta, ricetta, ricetta….. mi sembra di sentirvi, calma, facciamo un esempio di impasto così potrete capire meglio, facciamo l’esempio di pasta da pizza utilizzando una macchina del pane.
La macchina che abbiamo è semplice e l’avevamo pagata davvero poco in uno dei tanti discount sparsi per l’Italia, e per una trentina di euro, non c’è la siamo fatta scappare.

Ricetta per la pasta da pizza, 8 pizze da 220 grammi
600 ml di acqua tiepida
3 cucchiaini di zucchero
2 cucchiaini rasi di sale
1 cucchiaino di malto d’orzo












 
1 cucchiaio di olio EVO (facoltativo)
650 grammi di farina tipo 00
350 grammi di Manitoba
250 grammi di pasta lievitante













e se avete fretta, ma solo se non avete tempo da dedicarci, 1 cucchiaino raso di lievito secco.


L’utilizzo di ulteriore lievito, può essere utile se non avete tempo, magari arrivate tardi, nel primo pomeriggio e avete voglia di farvi una pizza in serata.
Infatti l’utilizzo della sola pasta lievitante e un pò limitante, perchè necessità di più tempo per agire, normalmente ci vogliono almeno 12 ore, tra inizio dell’impasto e la cottura.
Per la lievitazione è necessaria un pò di esperienza per gestirla al meglio, che però alla fine vi permetterà di creare pizze più consone ai vostri desideri e dei vostri amici, più croccanti, o più morbide, più sottili, o più spesse, insomma per tutti i gusti.
L’utilizzo della macchina del pane è semplicemente una scorciatoia, mi sono accorto che così ho più tempo per me, e posso fare altri lavori, per esempio preparare il pomodoro tagliare la mozzarella, grigliare le verdure, nelle due ore che la macchina impasta e lievita.
Nel caso non possediate una macchina del pane, e siate costretti a impastare a mano, cominciate mettendo tutta l’acqua in una terrina, noi utilizziamo una bastardina in acciaio, poi sciogliete lo zucchero e il malto d’orzo, con calma sciogliete la pasta lievitante il più possibile, il glutine tende a formare dei filamenti che non si sciolgono facilmente, va bene lo stesso se non sono proprio tutti sciolti, a questo punto iniziate ad aggiungere la farina setacciata, se possibile, se non avete tempo prima di aggiungere la farina, sciogliete il cucchiaino di lievito secco, oppure 1 grammo di lievito di birra (a volte lo aggiungo lo stesso, specialmente se la pasta lievitante e un pò datata) e cominciate a mescolare. Quando l’impasto raggiunge la consistenza di un semolino molto denso, aggiungete il sale, mescolate bene prima di aggiungere l’olio, se avete deciso di usarlo, e poi l’altra farina.
Quando la pasta si stacca dai bordi la rovesciate sulla tavola di legno e aggiungete la restante farina piegando e ripiegando la pasta. Può capitare che la consistenza sia diversa, basta una maggiore umidità nell’aria che vi rimarrà più molla, potete aggiungere un pò di farina in più, ricordate comunque che il punto di pasta e quando toccate l’impasto e non vi rimane appiccicato il dito, e la pasta rientra e poi torna su, come un materasso in memory.
Per il pane la ricetta è leggermente diversa, prima di tutto il programma utilizzato non deve solo impastare ma poi anche cuocere il pane. Noi normalmente prima di iniziare la fase di cottura estraiamo la pasta dalla macchina che mettiamo in pausa e lasciamo la pasta a lievitare un paio di ore in più prima di riposizionare la pasta nella macchina e poi riattivare la macchina.
Ricetta per pane da 750 grammi.
200ml di acqua tiepida
2 cucchiaini di zucchero
1 cucchiaino raso di sale
1 cucchiaino di malto d’orzo
1 cucchiaio di olio EVO (facoltativo)
200 grammi di farina integrale
200 grammi di farina Manitoba
200 grammi di pasta lievitante
1 cucchiaino raso di lievito secco o in alternativa un grammo di lievito di birra fresco.
Ma torniamo alla nostra amata pizza, per la fase di impasto e lievitazione nella macchina ci vogliono da programma 1h e 50 m, ma io la lascio ancora una mezz’oretta al caldo, o almeno finché la pasta non tocca l’oblò.


E uno spettacolo quando alzate il coperchio, ho sempre amato la morbidezza della pasta lievitata, sarà che è stato il mio primo mestiere per tanti anni in gioventù, vuoi per il profumo che sprigiona, ma soprattutto perchè so già cosa diventerà!
A questo punto verso la pasta sulla tavola e la piego un pò di volte per aumentare la forza della pasta, per qualche minuto, e creo un palla.


Poi la copro con la bastardina, per evitare che si secchi e crei la crosta, che causerebbero la formazione di pezzetti di pasta secca che durante la fase di stesura, romperebbero la pasta. Se non avete la bastardina cercate di coprila in modo di non farla venire a contatto con l’aria.



Lascio lievitare una prima volta per un ora e poi ripeto la fase di piegatura per due volte. Dopo la seconda volta faccio le palle da 220 grammi.


Come potete vedere a lato la pasta avanzata che poi impasteremo con la pasta lievitante nel barattolo. Naturalmente copro le palle per 30 minuti prima di iniziare a stenderle.


Nei 30 minuti che attendo che la pasta si snervi un pò, mi dedico alla pasta lievitante impastandola con quella avanzata.


Per migliorare la miscelazione utilizzo anche un pò di farina, alla fine rimetto l’impasto così ottenuto nel barattolo e lo posiziono nel frigo.


Siamo alla fase finale dopo i 30 minuti si comincia a stendere le palle e metterle nelle teglie. Io preferisco quelle di alluminio, rispetto a quelle di acciaio, cuociono più uniformemente, non bruciano sotto e rimangono più morbide.


Per stenderle uso il mattarello, è l’ideale per preparare la pasta da mettere nelle teglie.


Ecco fatto questa è la base per creare la nostra deliziosa pizza. L’utilizzo di pasta cotta come piatto su cui poi mettere gli ingredienti, nasce nella Roma Antica, e poi con il passare del tempo ha raggiunto la fama che ha oggi.
Il bello di questo pezzo di acqua e farina lievitata è la versatilità di creare quello che si vuole, il limite è solo la nostra fantasia, questa volta l’abbiamo preparata semplice, pomodoro, origano, olive e mozzarella.


Eccole qui in attesa dell’ultima fase di lievitazione, ancora un ora abbondante e poi saremo pronti a gustare il risultato di tanta fatica. In questa ultima fase è importante che l’ambiente sia caldo, sui 22°C, per accelerare la fase di metabolismo dei lieviti, prima di infornarle.
Per la cottura dipende da forno a forno, innanzitutto si accede il forno al massimo, oltre i 250°C (più caldo è più cuoce velocemente e più rimane, contemporaneamente, morbida dentro e croccante fuori, il top).
Quando si arriva in temperatura, si mettono due pizze una in mezzo e l’altra sul fondo, 4 minuti e si invertono e dopo altri 4 minuti sono pronte per essere gustate.


Il massimo una fumante pizza innaffiata da un ottima birra…. la nostra! Sicuramente il nostro piatto preferito. Ora tocca a voi.
Termina così un’altra avventura nel mondo della birra, senza fare birra….non solo birra!

Video di una nuova degustazione


Siamo nuovamente a presentarvi una nuova degustazione. Come consuetudine andiamo ad assaggiare una American Pale Ale, della serie Oro, nostro cavallo di battaglia. Questa volta è la versione 6 della ricetta, la prima Oro brassata con il metodo classico All Grain 3 tini.
Il video presenta in modo dettagliato questa birra, la ricetta i suoi aromi e sapori, tutto in modo semplice e naturale.



Buona Visione





Una nuova American Pale Ale

Un'altra domenica, un'altra birra! Nonostante sia passata una sola settimana dalla cotta precedente, la Foreign Extra Stout Il Fico Nero, siamo di nuovo qui a raccontarvi di questa nuova cotta domenicale. Siamo a fine stagione è stiamo cercando di terminare in modo razionale tutti i malti rimasti in fondo alle scatole e siamo riusciti a creare una nuova versione della ricetta Oro la American Pale Ale, arrivando così alla settima versione.
La ricetta di questa bionda è simile alle sue precedenti con l'utilizzo degli stessi malti, mentre sono stati cambiati i luppoli. 
Ma vediamo la ricetta:

Oro VII All Grain 
lt mash :22
lt sparge:22
Litri in pentola :22
OG preboil:1038
Min bollitura:60
Litri in fermentatore :24
OG :1060
ABV :6.0 %
Plato :14.8
IBU :44.7
BU/GU :0.74
EBC : 7

Malti e Fermentabili
Pale Ale 5000 gr 80 %
Biscuit 625 gr 10 %
CaraPils 320 gr 5 %
Fiocchi di Orzo 300 gr 5 %
Totale 6245 gr

Luppoli
Simcoe (AA 12.3) 50 gr 20 min Coni
Cascade (AA 5.9) 50 gr 10 min Coni
Saaz (AA 3.34) 50 gr 5 min Coni
Columbus (Tomahawk) (AA 15.5) 50 gr Dry-Hop Pellet
Totale 200 gr

Lieviti
SafAle US 05 DryUS-05 11.5 gr

Profilo Mash
Beta-amilasi 68 °C 45 min
Alpha-amilasi 72 °C 15 min
Mash Out 78 °C 15 min

Fermentazione 18°C

Praticamente la ricetta ripercorre le orme delle sue sorelle precedenti, con però una percentuale più alta di biscuit, che comporterà una birra visivamente diversa con una colorazione ambrata-ramata più carica. I luppoli invece sono molto più caratterizzanti con l'utilizzo del Simcoe e del Cascade in accoppiata, che sono decisamente particolari con note tra il resinoso e agrumato molto intensi e al Saaz, l'arduo compito di tentare di smorzare gli aromi intensi dei due americani. Invece siamo ancora in dubbio se utilizzare in DH il Columbus o riproporre il Cascade e tentare di mantenere certa una coerenza. Certo che l'ulteriore utilizzo di Cascade in DH rischiamo veramente di farla diventare una spremuta di pompelmo o quasi. Decideremo poco prima del travaso.
Sulla decisione degli ingredienti è pesata la componente di fine stagione, dove si cerca di raccogliere le idee nel utilizzo degli ingredienti rimasti.
La cotta è stata preparata con estrema calma e serenità, sistemando le cose più importanti, già il venerdì, tanto è il desiderio di terminare questa stagione che ci ha visto, ahimè, protagonisti di diversi imprevisti che avremo decisamente preferito farne a meno. Ci rimangono dopo questa cotta, ancora gli ingredienti per altre due, che brasseremo le prossime due domeniche. Poi passeremo l'estate a riflettere sul futuro birrario che ci attende, prendendo qualche decisione importante, su come procedere per la prossima stagione.


La Domenica, come è capitato ultimamente, è iniziata molto presto, per evitare poi di dilungarci fino a tardi. Alle 7,30 sono sceso e ho iniziato da solo i primi preparativi, Andrea mi avrebbe raggiunto dopo.
Come al solito ho inserito la sacca e versato il mezzo limone, sia nella pentola di mash che in quella di sparge. I 22 litri nelle due pentole, sono stati versati il giorno prima. Non mi è rimasto che accendere i due fuochi ed attendere di arrivare in temperatura.
Il mash è una delle cose che accomuna le ricette della serie Oro, beta amilasi 45 minuti a 68°C, alfa amilasi 15 minuti a 72°C.
Arrivati a 72°C ho spento il fuoco è versato i grani. Ho notato che rispetto al BIAB, l'esiguo quantitativo di acqua tende a far abbassare molto la temperatura una volta aggiunti i grani. Nelle ultime cotte ho potuto verificare che dopo l'inserimento di 6-8 chili di grani in una ventina di litri, la temperatura scende di 4 gradi e per mantenere da subito la temperatura giusta bisogna portare l'acqua a 4 gradi di più di quelli preventivati.
La proporzione acqua/grani è stata più alta del solito, perchè volevamo avere un buon quantitativo di mosto finale visto il minore peso dei grani e ci siamo stabilizzati su una proporzione di 3,5 litri di acqua per chilo di grani, e cercare di così di avere almeno più di 23 litri finali.


Tutto è andato bene senza intoppi, e terminata la fase di mash ho verificato se la trasformazione degli amidi era avvenuta con il test dello iodio. Tutto a posto, il test superato e così ho potuto procedere con i 15 minuti di mash out e terminare la fase di mash.
Appena iniziato la fase di sparge mi ha raggiunto Andrea, proprio al momento giusto per darmi una mano con questa fase delicata della cotta. Abbiamo così rifiltrato il primo litro, sufficiente per ottenere un mosto limpido.


Limpida e pulita sembra camomilla!


Alla fine non rimane che le trebbie asciutte.


Terminata la fase di sparge siamo andati in bollitura. Durante la salita della temperatura, in superficie si è creato un notevole strato di proteine, degne di una birra di grano, davvero strano il comportamento di questo Pale che dovrebbe già essere abbondantemente modificato, sicuramente una partita di grani un pò diversi dal solito.La fase di bollitura come sempre di sessanta minuti, con la prima gittata di luppoli a 20 minuti. Niente luppolo da amaro, ma semplicemente gittate da aroma a 20 minuti dalla fine e poi a 10 e 5 minuti.


A 15 minuti dalla fine inseriamo sempre la serpentina per la sterilizzazione. Come per la volta scorsa ci è andata un ora per raffreddare il mosto fino a 20°C. Come sempre terminato la fase di raffreddamento procediamo ad eseguire un mulinello per cercare di concentrare i coni del luppolo ed eventuali farine sfuggite al lavaggio delle trebbie, al centro della pentola.


Negli ultimi tempi si fa spesso discussioni sul web, su una tecnica che sta prendendo piede, l'utilità di prelevare il mosto dalla parte superiore della pentola con l'utilizzo di sifoni. Indubbiamente risolve i problemi di trasporto di farine nel fermentatore, ma riteniamo che sia una tecnica che trova la sua giusta collocazione nel metodo BIAB, dove la presenza di farine è davvero alta.
Siamo alla fine dopo un quindicina di minuti apriamo il rubinetto e cominciamo a versare il mosto nel fermentatore.


E' il momento della misura della densità finale, 1060. Per ricetta avevamo previsto una densità di 1061 per 23 litri, ed invece alla fine abbiamo ottenuto 1060 per 24 litri e anche questa volta siamo rimasto sopra al 75% di efficenza, una costante di un impianto semplice ma rodato.Presa la misura non ci rimane che inoculare il lievito. Come sempre per le APA utilizziamo il lievito secco della Fermentis US-05 per le sue caratteristiche neutre, che tendono a lasciare intanto l'aroma del luppolo. Ormai è nostra consuetudine versarlo direttamente nel mosto durante la fase di riempimento.


Una volta riempito il fermentatore, abbiamo dato una bella mescolata al tutto, per miscelare al meglio il lievito, chiuso con il coperchio, e inserito il gorgogliatore. Abbiamo finito anche questa cotta, e come è successo per la precedente, la Stout Il Fico Nero, li abbiamo sistemati vicini in garage, visto che comunque le temperature esterne rendono l'ambiente idoneo alla fermentazione con i suoi 20°C di media.


Le prossime due settimane ci terranno davvero occupati con travasi, imbottigliamento e produzione di birra. Un tour de force per scongiurare il pericolo di improvvisi rialzi termici, vista la stagione, che la produzione di birra e connessi, mal sopportano.Ma queste sono altre storie.

Coltivazione di luppoli americani 4ª Parte

Nuovo articolo di aggiornamento della nostra coltivazione di luppoli americani.
Questa è la terza stagione e cominciamo a vedere i primi risultati. Per i vecchi lettori che ci seguono ormai dall'inizio conosceranno bene tutta la storia, ma per i nuovi sarà un interessante post che potrebbe dare spunti di riflessione per chi volesse cimentarsi in questa avventura.
Il tutto è cominciato dopo una telefonata a Mario Pedretti verso la fine del 2013, quando eravamo in cerca di qualche varietà di luppolo selvatico da utilizzare per le nostre birre e chiedemmo consigli a lui. Mario ci fece capire che non è semplice trovare in natura piante adatte al nostro scopo, e comunque il tempo da dedicare sarebbe stato davvero tanto prima di trovare qualcosa di accettabile. Insomma una ricerca che ci avrebbe impegnato senza nessuna garanzia del risultato. Lui mi consiglio di provare a far crescere qualche rizoma di varietà già selezionate, per capire le necessità di questo rampicante infestante.
Così la stagione successiva ordinai dei rizomi da Mario. Chiesi a lui, dall'alto della sua esperienza maturata in anni di prove sul campo, con che luppoli iniziare. L'unica nostra esigenza era di avere luppoli americani, luppoli che utilizzavamo spesso nelle nostre birre. Fu lui a consigliarmi prima di tutto il Chinook che a detta sua era il luppolo che meglio si era acclimatato in Italia, e il Willamette ed infine il Columbus.
Per chi fosse interessato ad approfondire l'argomento e si fosse perso la prima parte la può leggere qui Chinook, Willamette e Columbus da fare crescere.


I progetti iniziali andarono in fumo subito, quando il terreno stabilito per la piantumazione dei rizomi fu utilizzato da mia moglie per la sistemazione di una zona di piante aromatiche. Cominciai una ricerca spasmodica di un pezzo di terreno adatto a ospitare i nuovi rizomi. Ma il tempo era poco e i rizomi non avrebbe resistito molti giorni fuori dalla terra. Così per evitare che si deteriorassero decisi di piantarli, con sommo dispiacere, in vaso. Così siamo stati costretti a rinviare di un anno acclimamento in piena terra.
L'anno passò, le piante si adattarono in qualche modo, almeno sopravvissero anche se in maniera diversa. Potete trovare il racconto dettagliato qui Chinook Willamette e Columbus da fare ricrescere.
Viste le condizioni delle piante, non potevamo lasciarle un altro anno in vaso, sicuramente non avrebbero sopportato ancora a lungo quel tipo di coltivazione. Decidemmo così di trovargli uno spazio a bordo del piccolo prato, sistemando alcune canne come supporto si cui i tralci si potevano arrampicare.



Le piante reagirono subito bene, superando da subito quella sofferenza che avevano dimostrato in vaso. L'anno passo veloce e le piante a fine stagione riuscirono anche a darci qualche prezioso fiore. Il raccolto non fu molto, ma dimostrava che le piante avevano trovato un ambiente idoneo.
Sull'esperienza della scorsa stagione scrivemmo un post con diverse fotografie che illustravano in che condizioni si trovavano le piante e i coni che erano riusciti a produrre: Coltivazione casalinga di luppoli americani.
Ma veniamo a questo ultimo anno. Le piante, che erano state lasciate a dimora, senza alcun intervento, reagirono subito bene. Ai primi di Aprile cominciarono a spuntate i primi polloni dai rizomi. Il Chinook mi stupì, un esplosione di tralci, decine e decine, che sparavano in tutte le direzioni, tanto che dopo un paio di settimane fui costretto a tagliarne il 90%, mentre il Willamette e il Columbus stentavano a crescere.
Il Chinook cominciò subito ad aggrapparsi con forza alle canne e i tralci crebbero di dimensioni, sembravano dei veri e propri rami di colore rossastro, con foglie grosse e carnose, belle, sane.


Piano piano anche il Willamette, che qui sopra potete vedere in primo piano, cominciò a crescere e ad irrobustirsi, anche se con meno vigore del Chinnok e visto il numero esiguo di tralci, non tagliai niente li lasciai tutti.
Invece il Columbus, dopo un buon inizio promettente, la crescita rallentò fino a fermarsi, capii subito che c'era qualcosa che non andava. Il tempo non aiutava, dopo qualche settimana di tempo buono tiepido e soleggiato, che aveva riempito di energia il Chinook, cominciarono le giornate umide e piovose, e il sole decise di prendersi un pò di ferie, e non lo abbiamo più visto. In compenso cominciò a piovere quasi tutti i giorni anche di forte intensità impregnando un terreno di base argilloso.
La zona del prato, rispetto al resto del terreno, lo avevamo preparato per la semina dell'erba con un aggiunta sostanziosa di sabbia, proprio per evitare di ritrovarci in futuro con problemi di marciumi, che trasforma un bel prato verde in una distesa gialla asfittica.


Nonostante le caratteristiche del terreno, il Columbus probabilmente mal ha sopportato le condizioni climatiche di questo periodo, e una mattina ho notato subito il problema.


Le punte dei tre tralci cresciuti a stento presentavano il germoglio centrale secco, un chiaro segno di un problema radicale, un marciume radicale causato dal ristagno delle radici in ambiente troppo umido, terreno ideale per la proliferazione di funghi nocivi che attaccano le radici non permettendole più di assorbire le sostanze nutritive da trasportare per tutta la pianta e le radici stesse.


Una pianta così debole, al rialzo termico sarebbe stata facilmente preda di malattie ben più gravi come la peronospora. Alla fine per evitare problemi alle altre due piante ho deciso di recidere la pianta, senza, per ora levare i rizomi. Operazione che sarà eseguita prima dell'inverno, con asportazione dei rizomi e lasciando aperto lo scavo che prenda aria e venga disinfettato naturalmente dal gelo e dalla neve. La prossima primavera decideremo se inserire alcuni rizomi del Chinnok in loco, acquistare una nuova varietà, magari il Simcoe, o effettuare un tentativo per salvare i rizomi del Columbus con trattamenti fungicidi con prodotti a base di Benomil come il Benlate.
Un operazione da eseguire il prossimo anno, sarà sicuramente la divisione dei rizomi, per evitare di ritrovarsi con getti che potrebbero spuntare nel terreno del vicino, ma anche evitare di ritrovarsi con una massa radicale poi difficilmente gestibile, operazione da eseguire al massimo ogni due anni. Per chi conosce come si sviluppa sotto il livello del terreno, sa che mostro può diventare.
Ora all'inizio dell'estate, anche se per le condizioni meteo non lo si direbbe, il Chinook ha invaso completamente lo spazio del Willamette e sta proseguendo arrivando ormai nella zona che era del Columbus.


Sarà un problema, durante la fase di raccolta identificare i coni. Ora non ci rimane che sperare che questo sole torni a scalare e asciugare i terreni e che dia la forza alle piante per la produzione dei fiori, ma questa sarà un'altra storia.

NUOVI VIDEO SUL CANALE DEL SIGNORMALTO


Stamattina abbiamo inserito due nuovi video, inerenti all’ultima cotta la Foreign Extra Stout, dal gusto particolarmente intenso di caffè e cioccolato fondente. La cotta è stata divisa, come al solito, in due parti.

Il primo video tratta della fase iniziale di mash

Mentre nel secondo trattiamo le altre due fasi, il lavaggio delle trebbie o meglio conosciuto come sparge e la fase di bollitura (boil)

Buona lettura a tutti, mi raccomando iscrivetevi al canale e sosteneteci con i pollici alzati.
Al prossimo video

Il Fico Nero una nuova Stout

Dopo qualche settimana riprendiamo le attività brassicole. Il tempo sfugge, le temperature si alzano e le condizioni per brassare vengono meno. Non ci scoraggiamo, mi sono ripromesso che devo finire tutti i vecchi grani prima del termine della stagione, perchè rischiamo di ritrovarci ancora grani scaduti anche con l'inizio della nuova, a costo di brassare ogni domenica!
In queste settimane abbiamo provveduto a terminare alcuni lavori come l'etichettatura della Kashmir, la IPA di chiaro stampo inglese, riprendendo la vecchia etichetta per essere adattata al nuovo design.


22 litri di nettare ambrato che si sono aggiunti agli altri, nella nostra cantina.

Dopo l'etichettatura della Kashmir, abbiamo imbottigliato la Joe Alba 120, la bionda velenosa da 120 IBU. Sono rimasto sorpreso dell'incredibile aroma che sprigionava la birra, un aroma intenso di frutta tropicale. Anche l'assaggio della provetta del densimetro è stata una piacevole sorpresa, la birra è già piacevole, molto fruttata e amara ma non quanto avrei immaginato. I malti hanno contribuito a smorzare l'amaro rendendo una birra fresca, chiara e luppolata. Penso che sia una birra da bere velocemente per cogliere al massimo le sue qualità ed evitare che con il passare del tempo aumenti l'amaro e svanisca l'aroma.
Dopo oltre un mese torniamo a brassare una nuova birra. E' nuovamente il turno di una scura, una Foreign Extra Stout, Il Fico Nero. La scelta degli ingredienti ricalca un pò la precedente Athir, ma qui la presenza dei tostati è più importante, cercando di forzare un pò l'aroma torrefatto e la colorazione scura. Nell'insieme la percentuale dei malti tostati è stata aumentata passando dal 9% al 13%, ma abbiamo abbassato la percentuale del Crystal 150 L da 20% al 18%.

Vediamo la ricetta:
Il Fico Nero Foreign Extra Stout All Grainlt mash :22.5
lt sparge:22.5
OG preboil:1044
Min bollitura:60
Litri in fermentatore :25
OG :1068
ABV :6.8 %
Plato :16.6
IBU :89.2
BU/GU :1.31
EBC :130
Malti e Fermentabili
Maris Otter 5000 gr 65 %
Crystal 150L 1365 gr 18 %
Chocolate 400 gr 5 %
Roasted 350 gr 5 %
Fiocchi di Orzo 300 gr 4
Black Malt 250 gr 3 %
Totale 7665 gr

Luppoli
Target (AA 12.17) 92 gr 60 min Coni
Saaz (AA 3.34) 25 gr 10 min Coni
Totale117 gr

Lieviti
SafAle English Ale S-04 23 gr.

Profilo Mash
Beta-amilasi 66 °C 45 min
Alpha-amilasi 72 °C 15 min
Mash Out 78 °C 15 min
Fermentazione 18°C
Questa volta sono stato costretto a brassare da solo, vista la rinuncia da parte dei ragazzi per un impegno improvviso. Come al solito ho iniziato i preparativi il sabato mattina, sistemando le pentole, macinando i grani e a prelevare l'acqua alla fonte, non trascurando nessun particolare necessario per brassare questa stout.

La domenica mattina è cominciata molto presto, e visto che non ho dovuto attendere l'arrivo dei ragazzi, mi sono subito dedicato alla cotta. Nella pentola di mash e quella per lo sparge avevo già versato i quasi 23 litri stabiliti sabato e mi sono limitato quindi ad inserire la sacca biab che utilizziamo come filtro nella pentola da 100 litri e aggiungere mezzo limone nella pentola per lo sparge. Ho acceso i due fuochi e ho atteso di raggiungere la temperatura per la prima sosta a 66°C.
Ho portato la temperatura fino a 70°C, un pò più in alto del target, memore dell'ultima esperienza, e ho cominciato a versare e mescolare i grani. Alla fine la temperatura si è stabilizzata come preventivato a 66°C.

Per il mash ho effettuato una sosta di 45 minuti per le beta amilasi a 66°C, e una sosta di 15 minuti per le alfa amilasi a 72°C. Prima dell'ultima sosta di mash out, sempre di 15 minuti a 78°C, ho eseguito il test dello iodio con esito positivo. Con una birra scura come una Stout, non è proprio così semplice, visto la colorazione del mosto, ma facendo cadere qualche goccia in una zona dove c'è meno mosto si può vedere bene la colorazione che prende la tintura.
Terminata la fase di mash mi sono preparato per il lavaggio delle trebbie. Ho iniziato con il rifiltraggio dei primi litri, che di solito risentono delle farine depositate sul fondo della pentola. E' bastato un solo passaggio per ottenere un mosto già limpido. Ho trovato subito la tecnica giusta tenendo con la mano sinistra il mestolone e il colino in acciaio e con la destra ho versato l'acqua calda.
Nonostante non avessi mai provato a lavare le trebbie con questa tecnica, da solo, è stato meno
complicato di quanto avessi pensato. In venti minuti ho versato i quasi 23 litri. 
Il mosto è limpido e la sua colorazione ricorda molto un caffè molto carico.
Ecco il dettaglio della pentola dove ho fatto scendere il mosto filtrato, pronto per la fase successiva di bollitura.
Al termine dello sparge ho potuto verificare la quantità di mosto preboil, 34 litri abbondanti, e calcolando che avevamo immesso quasi 45 litri tra l'acqua per il mash e l'acqua di sparge, con 7,7 Kg di grani abbiamo lasciato indietro 11 litri, 8 nelle trebbie e purtroppo 3 sotto al livello del rubinetto. Nonostante la modifica lasciamo ancora troppo mosto in fondo alla pentola. Per questa stagione non faremo ulteriori modifiche ma con la nuova stagione ad Ottobre sarà un'altra cosa su cui riflettere.
Sistemato la pentola da 50 litri sul fornellone ho riacceso e portato il mosto il bollitura. La luppolatura è stata modificata durante la cotta a causa del ritrovamento di Target. 

Così ho deciso di inserirlo al posto del Pilgrim, più per terminare il sacchetto aperto che per necessità. Questa modifica ha però alzato notevolmente l'amaro a causa della percentuale di alfa acidi più alta, facendo cresce l'IBU fino a 90. Unica gittata a inizio bollitura per l'amaro. Mentre per dare un pò di aroma, ho deciso di utilizzare il Saaz, a 10 minuti dalla fine. Classico luppolo di origine Ceca, adatto sopratutto per le Pilsner.
A 15 minuti dal termine dalla bollitura ho inserito la serpentina per sterilizzarla. Con le temperatura che salgono, il metodo di raffreddamento con la serpentina non è certo un mezzo efficace per raffreddare velocemente il mosto, ma è un sistema pratico, semplice e veloce da utilizzare.
Ci è voluto più di un ora per portare la temperatura sui 20°C. Prima di versare il mosto nel fermentatore ho eseguito il mulinello (Whirpool) per cercare di concentrare tutti i coni di luppolo al centro della pentola, insieme a qualche farina sfuggita dalle trebbie in fase di sparge. 

Ho lasciato riposare il tutto per una quindicina di minuti.
Siamo alla fine, pronti per versare questo prezioso nettare nero, nel fermentatore e inoculare il lievito.
Prima però verso un pò di mosto nella provetta per la misura della densità finale.
1068 quattro punti in meno di quello preventivato in ricetta, anche se poi alla fine abbiamo ottenuto 2 litri in più di mosto, portando l'efficienza al 78%, ancora un buon risultato. Siamo davvero alla fine non mi resta che aprire il rubinetto e cominciare a versare il mosto nel fermentatore. Un consiglio, aprite sempre poco il rubinetto, per evitare di creare un flusso troppo veloce che potrebbe aspirare materiale indesiderato dal fondo. Mentre il mosto scende e si comincia a riempire il fermentatore ne approfitto per assaggiarlo. Il colore è molto scuro, al gusto si sente subito l'amaro del luppolo e il torrefatto, alla fine in retrogusto si sente un amaro simile al cacao. Anche il corpo è rotondo e deciso, ottime caratteristiche per un mosto, vedremo come lo trasformerà il nostro lievito.

E' il momento del lievito. Ho scelto per rimanere sul classico il secco della Fermentis S-04, dal suo
Da qualche cotta ormai verso il lievito direttamente nel fermentatore senza reidratarlo. Ho visto che alla fine non cambia niente, anzi mi crea meno problemi a prepararlo.
Terminato di riempire il fermentatore, questa volta non l'ho sistemato in cantina, nella cella riscaldante, ma lo lasciato in garage, complice il rialzo termico che mantiene l'ambiente ad una temperatura tra i 16 e 18 gradi.
aroma fruttato classico delle birre inglesi.

Lunedì al rientro dal lavoro ho potuto verificare l'avvenuta fermentazione, il residuo di una cappello di schiuma ormai svanito che ha toccato il coperchio e il segno tangibile del lavoro dei nostri amici lieviti, il gorgogliatore che cantava alla grande denotando la piena fase tumultuosa. La temperatura del mosto ha raggiunto i 21°C nonostante i 18 gradi dell'ambiente circostante.
Il Martedì la fase tumultuosa è terminata, il gorgogliatore ora più tranquillo ha cominciato a lavorarsi gli zuccheri meno fermentabili. 
La temperatura si è assestata sui 20°C, mentre la temperatura ambientale è costante a 18°C.
Ora non resta che attendere qualche giorno prima del travaso e un paio di settimane prima dell'imbottigliamento.
Rimangono ancora gli ingredienti per altre tre birre e visto l'inesorabile scorrere del tempo dobbiamo
affrettarci per evitare di trovarci poi con le temperature ambientali troppo alte, e molto probabile che brasseremo già questa domenica. Per queste ultime cotte continueremo con il metodo classico, così da incrementare l'esperienza in questa tecnica e cercare di affinarla, ma queste saranno altre storie.


In Primo Piano

Nelle nuvole di Venere

Non ricordo esattamente quando, ma direi mesi chissà anni che sono qui davanti a questa pagina bianca per enunciare grandi birre e magari pu...